Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/29

Da Wikisource.

domenico cicirelli 23

e io lasciai li, e la gente mi applaudí, gridando: Bravo, bravo! — Non è vero, — saltò su Giovannino; — gli applausi furono fatti a me, non a te. — Anche a me, — diss’io. E si e no, gli occhi ci si accendevano, e zia Marianna rideva.

VI

DOMENICO CICIRELLI

A quel tempo avevo già i miei sedici anni. Compiuti erano gli studi letterarii e filosofici. Avvezzo a una vita interiore, avevo pochissimo gusto per i fatti materiali, e badavo più alle relazioni tra le cose che alla conoscenza delle cose. La scuola ci aveva non piccola parte, perché era scuola di forme e non di cose, e si attendeva più ad imparare le parole e le argomentazioni, che le cose a cui si riferivano. Oltre a ciò, ero miope, uso più a guardare dentro a me che fuori. Quando mi si avvicinava una persona, restavo con gli occhi aperti e quasi incantato, tutto pieno delle cose che si dicevano, e non sapevo ridire alcuna particolarità dei suoi tratti o del suo vestire. Parlavo spesso del mio amore alla natura, ai campi, ai fiori, ai ruscelli; ma era una natura che avevo imparata nei poeti. In verità, non sapevo scerre fior da fiore, e non distinguere albero da albero. Quei mormorii infiniti della natura che sono come la musica o come le lacrime delle cose, non giungevano alla mia anima. Pure l’età mi tirava al di fuori, e anche l’esempio dei compagni. Giovannino mi parlava già dei suoi amori; tutti mi facevano le loro confidenze; guardavo stupido, come chi non ci capisca nulla, e di nuovo a leggere. Avevo una febbre di lettura che mi divorava, e stavo le intere giornate con un libro avanti in un angolo di casa chiuso da un paravento e illuminato fiocamente da una finestra che metteva nel cortile. Poi venne il bisogno di compendiare e di postillare. Talora mi sentivo dolere il magro braccio dal troppo scrivere; mi sentivo gli occhi secchi e abbacinati; uscivo di là come uno scheletro, con un ronzio nell’orec-