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il marchese puoti 33

voleva leggere prima gli scrittori in istile piano, poi quelli di stile forte, e poi quelli di stile fiorito. Riserbò per ultimo la lettura di Dante e del Boccaccio. Solo dopo un par d’anni ci erano consentiti i cinquecentisti; i moderni poi vietati affatto, massime i poeti. In conclusione, ci pose nelle mani il Novellino e Giovanni Villani. — Badiamo, — disse, — voi dovete notare tutti i gentili parlari; io voglio vedere i vostri quaderni — . Corsi a casa, come avessi un tesoro, e cominciai a sfogliare. Mi parve quello un parlare di bambini, e chiamai Giovannino e molto risi con lui.

La sera, con viva curiosità, andammo. Rimanemmo come naufraghi in mezzo a tanta gente. Stavano innanzi, nelle prime file, gli Anziani di Santa Zita, come per ischerzo li chiamava il Marchese. C’erano in quello stuolo di maggiorenti parecchi che più tardi vidi nei primi gradini sociali, come il Pisanelli, il De Vincenzi, il Cappelli, il Torelli, il Dalbono, il Rodinò, il Gasparrini. Altri meno antichi erano gli Eletti, uno stuolo a parte dei più valorosi. Noi stavamo agli ultimi posti, tra la moltitudine. Il Marchese era tra i maggiorenti, che gli facevano corona, vivace, faceto, sempre fresco. Si correggeva un periodo di Cornelio Nipote voltato in italiano. Il Marchese faceva un minuto esame delle parole, parte benedicendo, parte scomunicando. — Questa è parola poetica, questa è plebea, questa è volgare, questa è troppo usata, l’è un arcaismo, l’è un francesismo — . Accompagnava queste sentenze con lazzi, motti, esclamazioni e pugni sulla tavola. Io ne avevo la testa intronata. Poi si lesse un lavoro, e ciascuno de’ maggiorenti a dir la sua, tra il profondo silenzio della moltitudine. Finalmente si fece la lettura. Francesco Costabile avea bella presenza, bella voce; leggeva bene, interrotto dalle esclamazioni del Marchese, il quale di rado faceva qualche osservazione, ma rivelava con impeto le suo impressioni, e le travasava nei nostri petti. Non voleva esser detto maestro, né che il suo studio si chiamasse scuola, né che le sue conversazioni si chiamassero lezioni. Quelle due o tre ore passarono per me velocemente; e mi tardava, giunto a casa, che tornasse l’ora del marchese Puoti.

3 — De Sanctis, Memorie - i.