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38 la giovinezza

Un bel giorno congedarono un maestro, e messero me a insegnare storia sacra. Di storie ne avevo lette infinite, senza critica e bevendomi tutto quello ch’era stampato. Avvenne che i miei scolari erano più maliziosi di me, e quando io parlava con molta gravità delle foglie di fico o del vitello d’oro, quei birichini ridevano, e io m’incolleriva. La mente della famiglia era zio Pietro, gli anni e le fatiche avevano indebolito lo zio che lo lasciava fare, e lui aveva tirato a sé zia Marianna e regolava tutto. Era alto della persona, magro e asciutto. Venne dallo zio educato in Napoli, e non gli erano mancati studi letterarii e filosofici. Tornato dall’esilio, s’era messo a fare il medico, ma era già troppo innanzi con gli anni, e la clientela era scarsa. Aveva una cert’aria di civiltà, una certa sceltezza di maniere, che gl’imprimeva sul volto pallido non so quale distinzione. Era uomo accortissimo, con un certo saper fare. Tirava naturalmente pei figli, e tutto ciò che poteva sottrarre alla mia famiglia, non gli dispiaceva. In quel tempo Aniello suo secondo genito veniva già con noi alla scuola del Puoti; portava fresche da Roma le impressioni, e aveva, con una bella descrizione della Villa Borghese, attirata l’attenzione del Marchese e dei compagni.

Giovannino e io eravamo nel termine degli studi legali. Zio Pietro pensava già ad allogare Giovannino presso un avvocato, per fargli la strada. Io poi nel suo pensiero doveva essere un aiuto dello zio per sorreggere la scuola in quei suoi vecchi anni. Cosi cominciai maestro di storia sacra.

Egli ne aveva parlato anche col Marchese, al quale piaceva molto ch’io mi consacrassi alle lettere, e fin d’allora mi chiamava «il professorino». Io era l’occhio dritto dello zio non solo per i miei studi, ma per la mia tranquilla condotta, e non ricordo mai di aver ricevuto da lui alcun castigo. Naturalmente io era lo scudo della mia famiglia, e quando zio Pietro e zia Marianna dicevano male del babbo o mettevano in canzonatura mio fratello Paolino, zio Carlo li ammoniva con l’occhio, accennando alla mia presenza: il qual sentimento di delicatezza mi fece impressione. Essi mi sogguardavano e tacevano.

In questo mezzo era morto il professore di latino della Università, e s’era aperto il concorso. Zio Pietro stimolò molto lo