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cose di casa 39

zio perché concorresse anche lui. Zio vi consenti a malincuore, e passò ore angosciose tra preparazione, timori e speranze. Venne il di. Si fecero gli scritti; poi si dovea tenere la lezione pubblica. Vi andò molta scolaresca, e vi andò zio Pietro, e vi andò il Marchese e molti chiari uomini. A me batté il cuore, e non osai andare; pure i piedi mi tiravano là. Giunto alla chiesa del Gesú Nuovo, non proseguii, ed antrai e m’inginocchiai avanti all’inferriata dell’altare maggiore. Non so come, mi era venuta quell’idea. Rimasi li per un pezzo col capo appoggiato ai ferri. Era già lungo tempo ch’io non usava a chiesa. La prima domenica che non sentii messa, quel pensiero mi stava come un chiodo in capo. Poi venne l’abitudine e l’indifferenza. Il governo che voleva per forza la fede della congregazione, ci rendeva odiosa ogni specie di culto. Pareva un atto servile. C’erano poi i malcreati che motteggiavano i giovani timorati di Dio.

Io avevo lasciato da parecchio ogni studio di filosofia, e mi stavano ancora in mente i principii religiosi, rimasti però in aria, senza alcuna base nella vita. Seguii l’andazzo. Non sentivo più messa, non mi confessavo più. Tutto questo, stando lì inginocchio, mi si affacciava come un rimprovero. Pensai che forse Dio per punire me non sosterrebbe lo zio nell’ardua prova. E mi posi fervidamente a pregare. Non erano avemarie e paternostri, come facevo piccino; era un’onda che mi gonfiava il cuore e si versava fuori. Stetti cosí un pezzo tra lacrime e preghiere. Usci una messa ch’io sentii. Ma nel bel mezzo mi distrassi, e non seguii piú il prete, e seguii le ombre del mio cervello. Pensai a don Domenico Cicirelli e a quel tal Fortunato, e mi pareva gente sofistica e dappoco dirimpetto alla solenne e parlante grandezza di quella chiesa. Il mio sguardo si perdeva tra quelle volte, e mi pareva che tutte quelle facce di santi e di beati dipinti prendessero sangue e carne e guardassero me. Mi sovvenni del Figliuol prodigo, e m’intenerii, e non sapevo comprendere come avessi potuto tollerare gli sconci parlari dei cattivi compagni, e ripigliando l’antica usanza mi feci un gran segno di croce come per cacciarli via da me. Quel prete che diceva messa mi spirava divozione; guardavo con occhio amico quelle sottane lunghe e nere con quei berretti quadrati,