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v. l’«orlando furioso» i2i

ci è la donna, dietro l’allegoria la persona; non è solo una maga incantatrice, ma una donna appassionata, che ama Rinaldo e lo mostra quando n’è abbandonata, quando rinviene e si trova sola e in poche parole rivela tutti i suoi sentimenti: prima piange, poi s’arrabbia, poi vuol vendetta, poi dispera. Fa vibrare ben altre corde. Ma questo è un campo ancora nuovo per l’Ariosto; è un ulteriore sviluppo dato dal Tasso alla poesia italiana.

Ariosto rimane in un puro campo d’immaginazione. Alcina non ha bellezza propria come Armida, apparisce magicamente bella, ma è brutta. Non ha di quei sentimenti che costituiscono la passione; è una vecchia libidinosa; perduto Ruggiero, s’irrita per dispetto. Non può destare un’emozione poetica, ma una emozione di pura immaginazione che non tocca il cuore. Nessun poeta ha capito meglio ciò che voleva fare e l’ha meglio eseguito. Non restano che le forme esterne; descrizioni. Quattro sono le principali; un mirto parlante; un giardino; la bellezza di Alcina; Ruggiero che aspetta Alcina in letto. Astolfo fa il suo ingresso trionfale sulla scena trasformato in mirto. Alcina, dopo averlo avuto per amante, sazia, l’aveva trasformato. Questa trasformazione ha lo stesso significato delle trasformazioni di Circe. Ariosto, nel rappresentare un uomo trasformato in albero, ha avuto innanzi niente meno che Dante. Fra le due rappresentazioni vi è la differenza che passa fra una cosa seria ed una buffoneria.

     Come d’un stizzo verde ch’arso sia
Da l’un de’ capi, che da l’altro geme
E cigola per vento che va via;
     Sí de la scheggia rotta usciva insieme
Parole e sangue...

E uno de’ luoghi che fa più raccapriccio; lo stizzo verde che arde e cigola, le parole e il sangue non solo spaventano, sgomentano: il sentimento del meraviglioso è sopraffatto dal sentimento dello spavento.