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III

IL «MORGANTE»


Nelle lezioni passate vi ho dato un criterio secondo il quale devonsi giudicare i romanzi cavallereschi. Ogni cosa seria ha in sé la sua caricatura, che si sviluppa quando il presente non è più d’accordo con quel concetto; è legge che i nipoti facciano la caricatura de’ nonni. Quello che suole accadere della religione, della filosofia, delle opinioni, quello accadde della cavalleria, quando cadde sotto l’occhio beffardo d’un popolo che si gabbava di tutte le più serie cose.

Luigi Pulci, e questo lo distingue da’ scrittori posteriori, non ha avuto l’intelligenza de’ nuovi tempi, non operò con iscernimento, con chiara coscienza dell’opera sua al distruggimento del Medio Evo, come Cervantes nel Don Chisciotte e Voltaire nella Pulzella d’Orleans: eroica giovane che sotto alla sua penna divenne una sgualdrina. È un’eco confusa indistinta de’ suoi tempi; non ha né uno scopo serio, né uno scopo negativo. Come non v’era allora nulla in Italia di seriamente religioso politico e morale, non ha nessuno scopo morale, politico e religioso. Sarebbe stata pedanteria in lui il trattar seriamente ciò ch’era cessato di esser serio pel suo tempo. I pedanti lo censuravano e volevano da lui la serietà d’Omero. Ma egli s’è abbandonato al genio proprio ed al genio del tempo, ed ha ben fatto. Ma rimane la parte negativa. Vuol Pulci fare la caricatura della cavalleria? No, la fa inconsciamente; e sono gravi le conseguenze di questa oscura coscienza di sé stesso.