Pagina:De Sanctis, Francesco – La poesia cavalleresca e scritti vari, 1954 – BEIC 1801106.djvu/262

Da Wikisource.

diomede marvasi 257

preciso, in forma chiara e semplice, subitanea com’è lo spirito, e calda com’è l’eloquenza, sempre spontanea. Non m’è accaduto mai di notare ne’ suoi scritti ombra di sottigliezza o di nebulositá o di stagnazione, perché non si raffreddava mai, non vagava nel vuoto, lá dentro ci stava sempre lui, e sempre caldo e potente. Era uno scrivere animato, per usare il vocabolo suo favorito, simile al suo volto tutto sangue e tutto moto, dove stava sempre affacciata la sua rigogliosa vita interiore.

Il calore gli veniva pure dalla forza straordinaria del suo affetto, alla quale non era mestieri malia di immaginazione e correva diritta alle cose, e in quelle cercava il suo appagamento. Il cuore indugiava cosí poco ne’ lenocinii della passione, come il pensiero indugiava poco nelle frasi e nelle eleganze. Perciò il suo affetto non distratto e non ritardato era piò profondo e più. potente, e non si appagava che nell’azione. Amava seriamente e semplicemente, come l’amore fosse una religione o una vocazione. Perciò ebbe fin da quel tempo amici che gli rimasero legati per la vita, e non so di nessuno ch’egli abbia dimenticato. Le amicizie profonde e singolari prodotte non da conformitá intellettuale ma da vicinanza di cuori sono rarissime. Tale era la sua amicizia con De Meis, con De Luca, con Vertunni, con Morelli. Si figuri la moglie, donna superiore, che intendeva e apprezzava quel tesoro, e notava tutte le delicatezze di un affetto sempre nuovo e sempre uguale. Gli usci detto una volta ch’egli studiava a temperare la violenza della sua natura e a purgarsi di qualche difetto per ben comparire innanzi alla sua compagna.

Ben comparire era un altro de’ suoi vocaboli, o piuttosto la febbre del ben comparire, perché in quel cuore cosí caldo tutto aveva violenza di febbre. Bisogna aver la febbre del ben comparire, diceva ai suoi impiegati. E la febbre l’aveva prima lui. Né ci era minimo ufficio, dov’egli non mettesse tutta quella sua febbre d’azione. L’avvocato, il medico, il magistrato pigliano a poco a poco l’abito dell’ufficio, e quella prima febbre della gioventú cede sino alla indifferenza. Diomede rimase sempre giovane, sempre sulla breccia in atto di combattere. Non dava tregua a sé, non dava tregua agli altri. Il suo calore aveva

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. i7