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alberto mario | 27i |
vere è caldo, abbreviativo, linguaggio di popolo. E forse sarebbe giunto alla popolaritá; ma glielo vietava una forma aristocratica e letteraria non emancipata abbastanza dalle prime impressioni scolastiche.
Ma che cosa importa? Se la scienza in lui non fu molto pensata, fu molto amata, e l’amore gl’indora e illumina quelle veritá, come al loro primo apparirgli nel cervello, e gliele fa visibili, palpabili, gioconde, come le antiche divinitá. Sembrano idoli e teste e figure, e sono le ombre e le parvenze del pensiero in un’anima credente e innamorata. L’artista in lui rimarrá.
E ora il povero Mario è morto, e sotto a’ suoi fiori e sotto alle sue erbe non ama, non pensa piú, e fa amare e fa pensare quelli che lo leggono.
— Volete la felicitá? Amate e lavorate. Volete l’immortalitá? Lasciate ereditá di affetti! —
«Sono belle parole di Mario. Nella vita fu felice, perché amò e lavorò, e ora la sua vita si continua in quelli che l’amano, e in lei, nata inglese, d’animo italiana, vissuta per l’Italia insieme con lui, e che insieme con lui vivrá nel libro della gratitudine italiana. (Applausi, benissimo).
E ora, se l’Associazione consente, manderemo un telegramma a questa povera donna. (Approvazione unanime).