Pagina:De Sanctis, Francesco – La poesia cavalleresca e scritti vari, 1954 – BEIC 1801106.djvu/291

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in una specie di argomentazione, ponendola a raffronto con altri fiori: il che ha aria di discorso, raffredda l’interesse e distoglie l’attenzione. Qui è la parte debole di questa poesia, cosí bella nelle prime e nelle ultime strofe. Vedete la prima strofa: — O viola, perché te ne stai si timida fra l’erbetta? — . Ecco il nudo pensiero. Ma Nannina vuol dire un’altra cosa ancora; vuol dire quanto quel fiore le è caro, con che amore lo contempla. E non sa ripiegarsi in se stessa, non sa analizzare i suoi sentimenti. É fanciulla, vi si sente quella non so quale ingenuitá che ci è si cara in Omero e che alcuna volta vi ho mostrato in Dante. Siccome in primavera spira amore da tutte le cose viventi senza che voi possiate coglierlo al di fuori in una forma distinta, cosí da questi primi versi spira un dolcissimo affetto senza che la parola lo dica. Voi lo sentite nella movenza del verso nella soavitá de’ suoni, e, soprattutto, nel grazioso ritornello della fine. La fanciulla non si contenta di chiamare solo una volta il suo fiore:

     O cara mammola,
Fiore gentile:

ma ripete quel nome, ci è cosí caro il nome delle persone che amiamo, ripete quel nome, e lo fa ancora piú bello, piú amabile, dandogli la forma carezzevole del diminutivo:

O soavissima
Mia mammoletta.

Qui sta l’incanto di questa poesia; il sentimento rimane implicato nella immagine, o se talora se ne stacca, prende una forma semplice, immediata, fanciullesca:

     O mamma, o mammola,
Ambe a me care,
Infi.no all’ultimo
Vi voglio amare.

Gli uomini hanno inventato molte e molte belle frasi per esprimere l’affetto; e niuna avanza di efficacia, di evidenza, di