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per le feste ariostee 299

dell’uomo, e che si poteva adorare, non si poteva comprendere. E nella loro ingenuitá moltiplicavano queste divinitá; e se chiamavano «divino» Ludovico Ariosto, chiamavano anche «divino» Pietro Aretino. Oggi non ci sono piú divinitá, non c’è piú piedistallo; non vogliamo adorare piú, vogliamo comprendere. L’uomo si rivela all’uomo, e noi vogliamo poter dire al genio: — Uomo tu sei, nella tua grandezza c’è parte di noi, e forse tu non sei che la nostra voce e la nostra eco — .

Perciò, se dalle feste antiche usciva piú un’adorazione incosciente che una intelligente ammirazione, dai nostri centenari deve uscire qualche nuova idea, qualche veritá, una coscienza piú chiara di quel grande uomo che vogliamo festeggiare. Ond’è ch’io mi rallegro col solerte e intelligente Comitato ordinatore delle feste, che ha qui invitati tutti gli ingegni e tutte le colture, perché coll’opra comune si dia un passo di piú nella scoperta dei mondi creati dal genio, che paiono cosí chiari, cosí lucenti, e sono cosí poco e cosí tardi accessibili all’occhio della scienza. Esso ha sentito che se queste feste clamorose, allegre, affollate, con tanto lusso decorate, dovessero riuscire vuote di pensiero, non sarebbero altro che una rediviva Arcadia; assai simili a certe feste religiose, alle quali, mancata la fede, non rimane altro carattere che di passatempi popolari. Sicché io felicito il Comitato e d’avere ordinato studi e lavori, e di avere invitato chiari uomini a discutere, e se ne uscirá qualche notizia importante, o qualche lampo di veritá, un risultato ci sará di certo. Ma, quale si sia il risultato scientifico, un grande effetto morale si è giá ottenuto. Noi abbiamo mostrato che, tornati appena noi, il primo nostro bisogno è stato di andare cercando i nostri maggiori, riannodare le tradizioni, e studiarli e comprenderli e farli nostri.

Noi non siamo piú come i nobili degeneri che ignorano fino il nome dei loro antenati quasi per rossore del paragone, e non siamo neppure piú quegli italiani di un giorno che si addormentavano sulle glorie del passato, intenti piú a magnificare i morti che a educare e nobilitare i vivi. Noi siamo i risorti che vogliamo ritrovare i nostri grandi da lungo tempo smarriti, con l’animo di chi sente che noi pure valiamo qualche cosa, e vogliamo es-