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nota 363

mentre le altre Maschere italiane da tempo immobilizzate caddero o in luogo piú basso o nell’obblio, cacciate da quella stessa forza che ha abbattuta la ipocrisia, il servilismo, la ignoranza e la schiavitú. In mezzo alla continua trasudazione di commedie che l’istinto popolare versa sulle scene, egli è quasi il Deus ex machina, e stando ancora coi principii del dritto divino non ammette reggenza, e governa sempre in persona. La sua figura esterna è tutto un costume, né farebbe disperare qualsia scultore, che deve oggi porre il mantello alla statua di un grande contemporaneo, sia pur vestito di está, e lasciarlo a capo scoperto, sia pur vestito d’inverno, perché l’arte non ammette i cilindri. La forma del cappello di Pulcinella non è stata, è vero, discussa nei Ministeri come quella dei nostri soldati, ma è nientemeno che un cono, la figura piú perfetta in matematica e che, modificata, ha prodotto i capolavori dell’architettura gotica. Al poeta non si può guardar nella camicia, fu detto, forse perché non l’ha sempre netta, o perché lá entro oltre al suo genio c’è la sua bestia: ma il nostro eroe l’ha irreprensibile, almeno finché non venga la tassa sopra i tessuti; che anzi arieggia alla tunica romana come il calzone ricorda la foggia araba; perno cosí la sua veste tra due civiltá come il suo carattere tra due nature, l’animale e l’uomo.

La maschera gli copre il volto, non l’anima, e il suo naso se non è in tutto dantesco, pur grosso e aperto accenna un po’ al galantuomo e al tipo napoletano, su cui i Greci hanno impresso l’amor della natura, i Fenici la credenza al misterioso e all’arcano, gli Osci la facile e scurrile parola e le voluttuose abitudini della vita.

Non so se Maccus sia Pulcinella o se lui rappresentino i bassorilievi e le figure di molti vasi antichi; ma certo è ch’egli sta impresso nel carattere della classe infima del popolo napoletano, accovacciata ancora nelle sue strette e luride strade, sostrato a questo edificio strano e magnifico fabbricato di pezzi greci, romani, spagnoli e francesi. L’arte, il lusso, la industria sua e dei suoi antenati si studiano negli scavi di Pompei e nel Museo Nazionale: ma quell’indole, quei costumi, quella vita non si apprendono che in un altro Museo, la plebe di Napoli, e in un tipo che lo compendia, Pulcinella. La esterioritá, l’obblio di se stesso, lo accidentale, il fuggitivo, il presente, è la sfera, è tutto il mondo di questo personaggio; nella frase il cicaleccio e la parafrasi, nel dialogo l’equivoco, nelle azioni il chiasso, dappertutto la sciocchezza spontanea o mentita.

La sua casa è fuori delle pareti domestiche, è sulla strada; la fede è fuori della religione, nella liturgia; l’amore fuori dell’anima, nel senso; la vita fuori della coscienza, nella forma. Le sue tendenze sono sempre al materiale; i suoi problemi gastronomici; crede alla illusione, alle apparenze, ai morti resuscitati, alla magia, al lotto, al diavolo, a tutto fuorché un poco a se stesso; ha la chiacchiera, non il fatto; l’affaccendarsi, non l’operositá; l’imprecazione, non la bestemmia. Pulcinella insomma è il plebeo naoletano che va superbo di una vacua e trista ereditá, i ciondoli