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iii. il «morgante» 39
     E là giù son città, castella e imperio;
Ma noi conobbon quelle gente prime:
Vedi che il sol di camminar s’affretta,
Dove io ti dico che là giù s’aspetta.
     E come un segno surge in Oriente,
Un altro cade con mirabil arte.
Come si vede qua nell’Occidente,
Però che ’l ciel giustamente comparte.
Antipodi appellata è quella gente;
Adora il sole, e Iuppiter e Marte:
E piante e animai come voi hanno,
E spesso insieme gran battaglie fanno — .


Rinaldo domanda se tutte quelle genti pagane debbano esser dannate. Astarotte risponde che ponno salvarsi, dipendendo la salvazione non dal dogma ma dalle opere.

Vi è, in quest’espressione dei principi di tolleranza, qualche cosa di serio, che fu confermato dal movimento storico.

Quest’episodio non solo è notabile per questi due punti, ma perché è il migliore del poema: vi sono caratteri. Rinaldo e Ricciardetto saltano entrambi; ma l’autore ha saputo mettere gradazioni fra loro per modo che abbiano físonomie particolari. Rinaldo è sublimato dal sublime stesso del fatto; Ricciardetto ne è impacciato:

     Come Baiar do alla riva fu presso,
Parve che tutto di fuoco sfavilli;
Poi prese un salto e in aer si fu messo.
Ma così alto non saltano i grilli;
E non è tempo di segnarsi adesso;
Ché non piace al demon nostri sigilli.
O potenzia del ciel, poi ch’a te piacque.
Maraviglia non fia saltar quest’acque!
     Ricciardetto ebbe paura e ribrezzo.
Perché tanto alto si vide di botto.
Che si trovò con Farfarello al rezzo,
E dubitò, ché si vide il sol sotto.
Come se fussi tra ’l cielo e lui in mezzo;
E ricordossi d’Icaro del botto,