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iii. il «morgante» 49


Dopo succedono altre avventure, in cui il Pulci si ripete. Mentre Margutte dorme, Morgante gli trae gli stivali e li nasconde. Svegliatosi, cercandoli, Margutte trova che una scimia se li misurava; dá in risa, e a forza di ridere finisce per scoppiare. Scorgete qualche cosa d’ironico in questo pensiero di far morir di risa chi aveva riso di tutto.

Morgante, dopo aver presa Babilonia col battaglio, s’imbarca coi Paladini, e mentre rompeva la schiena ad una balena col battaglio, un granchiolino lo ferisce al piede; egli ne sorride, ma dopo pochi giorni la ferita s’infiamma e si invelenisce, finché e’ ne muore.

Tali sono i lineamenti di Margutte e di Morgante, soli personaggi di questo poema che ne abbiano de’ determinati, che vivano. Nondimeno, sono obliati nella storia della poesia. Da che dipende che nulla sia sopravvissuto di questo poema? Dalla forma, che nelle arti è il sine qua non, senza di cui le più belle concezioni rimangono scheletri. Il Pulci fra molte qualità secondarie non possedeva l’eccellenza della forma.

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Ricapitolando diremo che Pulci ha presi i fatti da più autori, ma non ha saputo fonderli e concentrarli in un fatto generale e formarne un tutto di cui ogni invenzione fosse una parte; li ha aggregati, non fusi; non ha avuto neppure forza di organizzare queste parti staccate, sicché, prese per sé, diventassero interessanti punti poetici. Abbiamo visto che i suoi personaggi hanno un carattere torbido, incerto, o non hanno punto carattere: sono esseri morti. La vita manca e nell’insieme e nelle parti. Non ostante, trovammo tre personaggi: Morgante, Margutte e Rinaldo, degni di sopravvivere all’oblio generale del poema.

L’ordito, le invenzioni particolari, i caratteri, compresi questi tre, sono dimenticati perché manca la perfezione della forma. Un concetto frivolo può sperar di sopravvivere se ha eccellenza di forme; se invece un concetto importante n’è privo, potrà

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. 4