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Lezione II

LA FORMA DELLA DIVINA COMMEDIA


Abbiamo veduto per quali stadii son passate le visioni anteriori a Dante, come partendo dal puro elemento religioso vi si sia poi tramescolata la politica e la scienza, e come dalla pura forma del sentimento si sia caduto nel fantastico e di quivi nell’allegorico e nello scolastico. La Divina Commedia soprastá a tutte inestimabilmente per l’eccellenza della forma.

Né giá la forma, come si crede volgarmente, è posta nell’estrinseco della elocuzione e della lingua. La forma è il divino, lo spirituale, il Deus in nobis, che si estrinseca e s’incorpora, e, se mi è lecito di usare una frase sacra, è il verbum factum caro: senza di lei la materia è un arbitrario, un molteplice, un vuoto e morto aggregato meccanico: ella è sua vita, sua anima, sua unitá organica. Ma nell’esame della forma dantesca noi non seguiremo il metodo della critica antica, di cui si può vedere un saggio nel modo come il Tasso difende e come i suoi awersarii censurano la Gerusalemme liberata.

La critica antica comincia dal porre alcune regole generali, e quelle applica senza distinzione di materia e di tempo: onde i paragoni ch’essa fa con tanta serietá tra cose disparatissime, tra l’Orlando e la Gerusalemme, tra il Paradiso perduto e l’Iliade. É noto il potere che hanno avuto le regole sopra i piú nobili ingegni ed il torto indirizzo ch’esse hanno dato sempre piú alla critica, insino a che, risoltesi in un cieco e meccanico dommatismo, soggiacquero agli assalti della critica romantica.