Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/169

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i cavalcanti i63


d’Aristotile, di poesia e di filosofia. Può egli la storia rifare queste ricordanze? Ed i fatti che io vi ho narrati possono risuscitare in voi le impressioni di secoli andati? Ben può la storia ricordar questo o quel fatto, ma i mille particolari che gli danno lume, colore, poesia, que’ mille incidenti e aneddoti e impressioni e sentimenti, che questi versi dovettero destare in quel tempo vivi e freschi, tutto questo è morto ed è morto per sempre. Né può disseppellirlo la storia; e qual meraviglia? Potete voi, o signori, disseppellirmi il vostro jeri? Quante impressioni e sentimenti fuggevoli, e non è scorso che un giorno, sono giá fuggiti dalla vostra memoria; e non torneranno mai piú! Gran cosa è questa! Non vi è poesia che giunga a’ posteri tutta intera: una parte sen muore: e perché? Perché il poeta non cerca né cercar dee la sua ispirazione nella generalitá della idea, perché il poeta è uomo che vive nella storia in mezzo all’accidente, perché egli non può concepire l’eterno se non insieme con quello che muore; perché la poesia è anima e corpo, anima che sopravvive e corpo che muore. Quanta parte di poesia è morta nella Divina Commedia, quante parole hanno perduto la loro freschezza, e quante frasi il loro colore, e quante allusioni il loro significato! Bene la scuola storica italiana, Marchetti e Gozzi e Foscolo e Pieri e Ponta e Rossetti sonosi travagliati intorno a questo corpo morto; e che ne hanno cavato? Quello che era innanzi vivo e ammirato è rimasto ammirato e vivo, e quello che innanzi era morto è rimaso morto: i loro sforzi hanno potuto restituirci il significato di questo o quel particolare, ma non il sentimento: perché il fatto crudo voi potete renderlo immobile e registrarlo negli archi vii e consegnarlo nelle cronache e tramandarlo tal quale a’ posteri; laddove il sentimento è proprietá dello spirito, e si rimuta e si trasforma e si invecchia con quello; ed i fatti ritornano perpetuamente giovani, e solo noi invecchiamo e moriamo a poco a poco, e spesso l’anima assai prima ancora che il corpo.

Ma ritorno a Dante. — Perché, mi direte voi, tanto insistere sopra questa idea accessoria? Perché riporre la bellezza di questi due versi nelle idee che suscitavano presso i contemporanei? —