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esposizione critica della divina commedia 363


Un primo grado di questa forma è ne’ demòni. Il demonio dantesco è senza dignitá, l’elemento turpe e selvaggio del male, il satirico nel suo stato ancor grezzo assai prossimo alla prosa, figurato ne’ satiri dell’antichitá, ne’ quali la brutale sfacciatezza tronca il riso e genera il disgusto. La vergogna e il rossore è proprio della faccia umana; il demonio non arrossisce. In lui niente è rimasto dell’angiolo; sicché egli non ha né l’orrida maestá del demonio del Tasso, né il sublime di quello di Milton. Belfagor, il Diavolo zoppo e Mefistofele si avvicinano alquanto al tipo dantesco; ma Machiavelli, Le Sage e Goethe hanno lor dato dell’umano, espressione ironica e maliziosa della parte comica della vita in opposizione alla seria. Dante ha raggiunto talora questo ideale della commedia, come, a cagion d’esempio, nel demonio che mena a dannazione Guido da Montefeltro, spiritosa caricatura della scienza scolastica del peccatore persuaso al delitto da un sofisma.

                                    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .  Forse
Tu non pensavi ch’io loico fossi!
     

Ma in generale egli ha voluto esprimere nel demonio la piú bassa incarnazione dello spirito nella scala degli esseri, e non solo il carnefice, a cui il tormentare è voluttá, ma il simbolo altresí del vizio da lui punito, congiungendo col mostruoso, col grottesco, con l’osceno e col bestiale la ferocia alla bassezza. Egli si è aiutato con molta sagacia della pagana mitologia, non dando alcun serio valore a quelle invenzioni, ma adoperandole come simboli e segni del suo pensiero.

                                         O voi, ch’avete gl’intelletti sani,
Mirate la dottrina, che s’asconde
Sotto ’l velame degli versi strani.
     

Ma questi esseri allegorici non rimangono nell’ariditá del generale; e niuno ignora quanta vivace individualitá è nelle figure di Caronte, di Cerbero, delle Furie, di Minos, di Gerione,