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364 | appendice |
il cui ingegnoso ritratto fu il germe dell’ammirabile ottava, nella quale l’Ariosto ha descritto la Frode. Nel demonio è ben poco di subbiettivo; nell’uomo il concetto si manifesta chiaramente a se stesso e diviene persona, acquistando carattere, affetto e pensiero. L’idea fondamentale che Dante ha voluto rappresentare nel peccatore è l’impenitenza, cagione e ragione della perpetuitá, della pena. Quale l’uomo fu vivo, tale è morto; egli ha lo stesso ardore del desiderio, ma accompagnato dal sentimento dell’impotenza: onde la disperazione e la rabbia. Ciò che in terra gli fu a diletto, nell’inferno gli è a castigo.
O Capaneo, in ciò che non s’ammorza La tua superbia, se’ tu piú punito. |
E il Manfredi di Byron: il fiume dell’oblio Lete è fuori dell’inferno. La sua passione perpetuamente innanzi gli sta. Egli vede impresso nella condizione del luogo, nella natura della pena, nell’aspetto e negli atti dei suoi tormentatori quello stesso che si agita nel suo cuore. Onde nell’inferno le passioni umane sono non solo ricordanza, ma sentimento vivo e presente: il che gli dá l’aspetto della stessa vita terrestre in un colore fosco e tetro. I personaggi sono caratteri perfetti: oltre alla loro colpevole passione, essi serbano tutte le passioni, i vizii e le virtú che ebbero in terra, né in loro è rappresentata pedantescamente l’immagine di ciascun vizio; ma talora, massime quando la colpa non può o non dee ricevere alcuna esplicazione poetica, come ne’ canti decimo, decimoquinto e decimosesto, sono in essi mostrate altre facce del loro carattere, e può cosí il poeta farci sentire ammirazione e pietá per Brunetto Latini, Cavalcante dei Cavalcanti, Iacopo Rusticucci e simili. Il numero de’ personaggi corrisponde all’ampiezza del disegno: infinita varietá di forme individuali. Talora è una semplice indicazione, poche parole con la grave semplicitá di una scritta.
. . . . . Anastagio papa guardo, Lo qual trasse Fotin dalla via dritta. |