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ii2 saggi critici

il concetto pagano, ma neppure uno scellerato: è un uomo debole e talora anche giusto, che si uccide per impazienza del dolore, per «disdegnoso gusto»; e perciò non disgusto né orrore, ma desta pietá, una profonda pietá! La situazione adunque per rispetto all’immaginazione è fantastica, per rispetto al sentimento è patetica.

La situazione determina la rappresentazione, la quale non dee proporsi altro che di porre in mostra e dar rilievo a quello che nella concezione è di fantastico e di patetico, di maravigli oso e di affettuoso.

Il fantastico è tale, perché noi lo troviamo difforme da’ nostri tipi naturali. Immaginiamo, cosa probabile, che nella Luna sieno abitanti e che essi sieno piante animate: certo per costoro le piante animate di Dante non sarebbero un fantastico. La selva de’ suicidi è per noi fantastica, perché si discosta dalle forme terrene: e piú date rilievo a questo contrasto, e piú cresce la maraviglia. Qui sta tutta l’arte della rappresentazione.

Per far ciò Dante non ha bisogno di osservazioni, o di esclamazioni, o di apostrofi, non di gittar grandi frasi, i capelli che si drizzano per lo spavento, il sangue che si agghiaccia nelle vene, ecc.; nella stessa situazione egli trova la sua ispirazione. Poiché, chi è lo spettatore? È un uomo, è Dante stesso, e le sue impressioni sono un contrasto vivente tra quello che ricorda in terra e quello che vede nell’inferno. Come pone il piè nella Selva, lo spettacolo innaturale che gli si para davanti gli ricorda la natura e scoppia il contrasto:

Non frondi verdi, ma di color fosco,
Non rami schietti, ma nodosi e involti.
Non pomi v’eran, ma stecchi con tosco.

Fatti pochi passi, gemiti umani gli giungono all’orecchio, senza veder persone; il contrasto scoppia di nuovo, e non in frasi ed antitesi: il contrasto diviene drammatico, e tu lo trovi in ogni pensiero, in ogni azione di Dante. Quando si odono gemiti, per un istinto naturale l’uomo si guarda dattorno, non