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2i4 | saggi critici |
Pure, in questo dolore dell’amante, vi è tanta calma e riposo, che egli, in luogo di addentrarsi ne’ suoi pensieri, rimane poeta, cioè a dire serba la forza di rimanere fuori di sé in mesta contemplazione; di tenersi in comunicazione col mondo dei fantasmi. Egli ha la forza di allontanarsi perfino dalle immagini immediate del suo dolore, la sua donna scomparisce per un tratto dalla scena e dá luogo alla natura; il suo amore chiude in sé tutto l’universo. La viola di marzo, la rosa, il fiore, la primavera! una volta a lui si care, come la sua donna, ora incessante cagione di mestizia, come la sua donna. La poesia, che comincia da un dolore vicino allo strazio, si va, a poco a poco, rasserenando e raddolcendo, e quell’ultimo ritorno alla sua donna, «o mia diletta», in mezzo al riso della primavera, aggiunge alla malinconia qualche cosa di cosí tenero ed amoroso, che ti gitta in un dolce fantasticare.
Ho chiamato questa poesia un semplice motivo musicale, in effetti qui non trovi che una situazione immediata e generale, con alcune immagini abbozzate, le quali si continuano nella fantasia di un lettore poetico. Le immagini ed i sentimenti in situazione tanto semplice rimangono senza sviluppo: non si va sino al carattere. Date una determinazione a questa poesia, ed avrete L’ultimo addio di Stolberg, che mi propongo di esaminare.
4. — «Al barone di Hatjgwitz»
versione e giudizio di una poesia di Stolberg
È sera. Spira una frescura intorno | ||
Su pe’ campi odorati, | ||
E l’azzurro occidente imporporati | ||
Coloran fuggitivi ultimi raggi. | ||
Pace e silenzio e dolce estro irrugiada | ||
Il solingo sentiero, | ||
E sussurrando intorno al passaggiero | ||
Espero amico lo accompagna e dice: | ||
— Con te sia calma e pace. — |