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cata, tanto piú ritrosa, infino a che, succedendo la prosa della vita, a poco a poco si dilegua, lamentata con desiderio da pochi, dimenticata da’ piú. Ecco la donna del Leopardi; ecco il suo ideale vivente in mezzo alla realta, una poesia dell’anima che è ad un tempo storia.

Ma come comparisce l’immagine, ed ecco scoppia la contraddizione. Non è un’anima tutta poetica, che si abbandona alla contemplazione e s’inebria di voluttá; è il poeta moderno, il moderno Amleto in cui il pensiero agghiaccia ogni bellezza, avvelena ogni godimento. Giá ne’ suoi primi anni, come l’umanitá ne’ suoi primi tempi, egli credette a questa donna, e sperò di mirarla viva in terra; ora il senso del reale ha occupato «il suo animo, e, dopo lunga esperienza e spessi disinganni, l’arido vero ha spento in lui ogni fede. La fantasia ha creata questa donna; il pensiero l’ha distrutta.

Qual è il sentimento che nasce da questa contraddizione, da questa discordia dell’ideale e del reale? Finché il Leopardi rimane poeta, può ritirare lo sguardo dalla ruvida realtá e riposarlo nella dorata regione dei sogni. Ben la voce sconsolata del vero gli ripete: — Cotesti sono sogni; — pure ne riceve conforto,

                                         .  .  .  .  ché dell’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai mi appago.
                              

Conservare ancora tanta virtú di fantasia ch’ei possa formarsi un mondo di vaghe immagini, ancorché sappia che la natura discordi da esse1; conservare ancora un cuore che viva, ancorché sappia che tutto ciò per cui ci commoviamo è vanitá ed ombra; potere insomma conservare il caro dono della poesia in tanta sua miseria: questo egli chiama il suo «risorgimento»,

la sua felicitá:

  1.                                          Dalle mie vaghe immagini
    So ben ch’ella discorda;
    So che natura è sorda.
    Che miserar non sa.