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234 | saggi critici |
cata, tanto piú ritrosa, infino a che, succedendo la prosa della vita, a poco a poco si dilegua, lamentata con desiderio da pochi, dimenticata da’ piú. Ecco la donna del Leopardi; ecco il suo ideale vivente in mezzo alla realta, una poesia dell’anima che è ad un tempo storia.
Ma come comparisce l’immagine, ed ecco scoppia la contraddizione. Non è un’anima tutta poetica, che si abbandona alla contemplazione e s’inebria di voluttá; è il poeta moderno, il moderno Amleto in cui il pensiero agghiaccia ogni bellezza, avvelena ogni godimento. Giá ne’ suoi primi anni, come l’umanitá ne’ suoi primi tempi, egli credette a questa donna, e sperò di mirarla viva in terra; ora il senso del reale ha occupato «il suo animo, e, dopo lunga esperienza e spessi disinganni, l’arido vero ha spento in lui ogni fede. La fantasia ha creata questa donna; il pensiero l’ha distrutta.
Qual è il sentimento che nasce da questa contraddizione, da questa discordia dell’ideale e del reale? Finché il Leopardi rimane poeta, può ritirare lo sguardo dalla ruvida realtá e riposarlo nella dorata regione dei sogni. Ben la voce sconsolata del vero gli ripete: — Cotesti sono sogni; — pure ne riceve conforto,
. . . . ché dell’imago, Poi che del ver m’è tolto, assai mi appago. |
Conservare ancora tanta virtú di fantasia ch’ei possa formarsi un mondo di vaghe immagini, ancorché sappia che la natura discordi da esse1; conservare ancora un cuore che viva, ancorché sappia che tutto ciò per cui ci commoviamo è vanitá ed ombra; potere insomma conservare il caro dono della poesia in tanta sua miseria: questo egli chiama il suo «risorgimento»,
la sua felicitá:
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Dalle mie vaghe immagini
So ben ch’ella discorda;
So che natura è sorda.
Che miserar non sa.