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immagini pel lungo uso sono invecchiate, non si può dir cose comunali semplicemente senza pericolo di addormentare il lettore. Quindi lo studio delle parole, il cumulo delle metafore, il rimbombo de’ suoni, la sottigliezza nei concetti, lo strano nelle immagini, il raffinato ne’ sentimenti: palliativi della volgaritá. Il Leopardi ha potuto ricondurre la poesia alla prisca semplicitá, alla veritá della natura, ringiovanendo, riverginando l’universo poetico. Dice cose peregrine, ignude di ogni ornamento estrinseco, belle di sé sole: non trovi qui paragoni o metafore, non modi inconsueti, che attirino l’attenzione al di fuori; hai innanzi viva l’immagine; dimentichi la parola.

Ecco i primi due versi:

                                    Cara beltá che amore
Lungi m’ispiri o nascondendo il viso,...
                              


Qui niente è nelle frasi che fermi l’attenzione, la quale rimane unicamente e perciò gagliardamente allettata dalla novitá del pensiero, da quel non so che di misterioso che ti presenta una donna, la quale ispira amore, lontana, o non veduta. Dalle prime parole il poeta s’insignorisce dell’anima tua e la forza a seguirlo. In che è posto ciò che dicesi la «casta trasparenza» del suo stile: la parola non è per lui altro che un istrumento, ch’egli maneggia maestrevolmente, divenuta mezzo diafano entro il quale si riflette il pensiero in tutta la sua limpidezza ed evidenza.

Tanti pensieri e sentimenti si succedono con grata abbondanza, ma senza sviluppo, onde nasce il colorito severo e sobrio di questa poesia. Dee il poeta parlarti dell’immagine? Si contenta di dire: «cara beltá»: non una parola mai che ti mostri uno sforzo, una intenzione di dipingerla piú particolarmente. Dee esprimere il dolore della perduta giovinezza? Udite con quanta semplicitá e brevitá:

                                    Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m’abbandona.