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«alla sua donna» poesia di g. leopardi 243

tivi delle umane sorti. Vi trovi il problema dell’universo posto e non risoluto, con la coscienza di non poterlo mai risolvere; vi trovi il sentimento del bello, del vero, del giusto, di tutto ciò che chiamiamo «ideale» con la coscienza di una realtá tanto discorde: e noi meditiamo e sospiriamo. È una poesia che, come le altre del Leopardi, non si indirizza certo a lettori volgari e distratti: ella richiede anime raccolte e pensose per le quali il mondo è cosa seria, e che tremano e si agitano innanzi al mistero della vita. L’anima del Leopardi è profondamente religiosa, avida di un ordine di cose divino e morale, che gli sta improntato nel cuore e di cui non vede orma in terra. Quell’ideale, quella donna, che egli non trovava quaggiú, che cercava nelle stelle o tra le eterne idee, egli l’avea nel suo cuore, il piú bel tempio che Iddio abbia avuto mai. Ma l’uomo non basta a sé stesso, ed ha bisogno che qualche cosa risponda al suo concetto, ed egli non la trovò; sicché gli parve che Dio e virtú fossero mere parole, vuoti concetti della mente senza riscontro nella realtá. Sente Dio in sé e lo nega nel mondo; ama tanto la virtú e la crede un’illusione; è cosí caldo di libertá e la chiama un sogno; miserabile contraddizione ond’è uscita una poesia unica, immagine dantesca di un’etá ferrea nella quale, oppressi da mali incomportabili, l’avvenire ci si oscurò dinanzi e perdemmo ogni fede, ogni speranza; d’una breve etá che sarebbe dimenticata nell’immensa storia umana, se non vivesse immortale in queste poesie.

[Nel «Cimento», a. III, s. III, vol. VI, dicembre i855.]