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288 | saggi critici |
Una cara giovanetta dall’anima temprata di forte dolcezza, cui [Alessandro Cipriani] aveva giurato fede di sposo poco piú di due mesi avanti la morte, mi raccontava che, poche ore prima di essere assalita dalla febbre, aveva ricevuto una lettera, leggendo la quale si spianava colla mano la fronte, come la sentisse grave di peso funereo, e la lacerò, non volendo attristarla, con dirne nemmeno a lei il contenuto!... E in farmi il mesto racconto, la vedova giovanetta alzava ai cielo i belli e grandi occhi cerulei, e sospirando esclamava: — Ah l’Italia! — . Consumata nel desiderio del perduto compagno, attratta nell’alito del sepolcro, povera Sofia, anch’essa martire d’Italia mori.
Se non vado errato, parmi che in questo sia l’eccellenza del suo ingegno; e vi è stato mirabilmente aiutato dall’uso che egli ha della lingua toscana, la quale non mi è sembrata mai cosí cara e leggiadra come in queste Memorie. Non so dir per l’appunto s’egli ha pienamente risoluto il problema propostosi, «di parlare italiano senza cessare di essere contemporaneo». Fra le due maniere non mi pare ci sia fusione, stannosi di rincontro, talora in crudo contrasto; e puoi dire spesso: — Questo è pretto toscano; questo è italiano— .Arrechiamone qualche esempio: «Benché il mio racconto pigli le mosse dalla Toscana, e a cose in Toscana fatte guardi precipuamente, tuttavia avrebbe torto chi non lo giudicasse a Italia tutta attenente». Sembra che suoni la tromba in dir cosa tanto semplice: ci vedi la falsa