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58 saggi critici

ricchezza di materia! Quanti sciocchi che guastavano, smozzicavano, travisavano quello che non comprendevano! E pedanti, che applicavano a tutte le cose una forma anticipata ed immobile di scrivere, e non sapendo che le grandi cose vanno dette alla buona e con virile semplicitá, sconciavano goffamente ciò che credevano di abbellire, con quella che essi chiamavano «forma letteraria»; sf che i nostri piú cari ’sentimenti, le nostre piú nobili idee noi le vedemmo uscir fuori, ora saltellanti alla francese, ora affogate in uno strascico di compassati periodi, e quando addormentate in un nembo di fiori arcadici o classici, e quando evaporate in una nebbia mistica e romantica! Quanti poltroni, che davan fiato alla tromba e tagliavano montagne con tanta piú audacia di parole, quanto il cuore piú tremava lor dentro! Quanti ipocriti e ambiziosi, so verrinanti con la voce, co’ gesti, con le esagerazioni, con in bocca ad ogni ora tre o quattro parole alla moda, nastro tricolore al cappello, fazzoletto tricolore pendente al di dentro, mazzettino tricolore nell’occhiello dell’abito! Ma a che m’indugio a parlar di caratteri, di cui non è vestigio in questo romanzo? L’autore non ha pratica degli uomini, non conoscenza delle condizioni sociali, che esca dal comune; tanta ricchezza di caratteri e di situazioni è per lui la margarita della favola. «Romani, esclamava Gavazzi, figli di eroi, sangue troiano, marciate audaci incontro a un nemico che fugge al solo nome di Roma.» Qui è la stessa esagerazione, la stessa congiunzione di serio e di ridicolo, che abbiamo notato in Polissena, e che si trova dappertutto. Fin dalle prime pagine la vena comica del padre Bresciani è esausta, né vi è cosa piú noiosa di un ridicolo che ripete sé stesso, indizio di stanchezza e povertá di fantasia. E, come suole intervenire, aggirandosi l’autore entro lo stesso cerchio, e volendo pur dare alle stesse forme alcuna aria di novitá, le carica, e le conduce fino alla insipidezza ed alla freddura. «Pio IX s’avvisa di pascerci a confetti, d’addolcirne la bocca con qualche riforma; le ci dia pure, che noi le avremo in conto di antipasto. Ma se noi non saremo armati, non verremo mai al desinare, e tutto finirá in due crostini con una mano di burro, e sopravi un’alicetta trin-