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78 saggi critici

stessa non è la realtá classica, ma una apparizione, un fantasma, dal di dentro del quale si gitta fuori Byron, radiante di luce. Né il fantastico nuoce alle passioni; la leggenda non uccide la novella; e vaglia ad esempio Faust e Margherita. Egli è questa viva rappresentazione de’ caratteri e delle passioni umane, sotto un velo in apparenza allegorico, che rende cosí popolare il libro di Goethe, e ci fa chiamar «divina» la Commedia di Dante. E qui è il difetto capitale della poesia di Prati. Vi manca un vero movimento ed antagonismo di passioni, senza di cui non si possono esplicare le forze interiori che animano i suoi personaggi, i quali rimangono perciò semplici personificazioni.

Le Grazie sono divinitá scadute, e, simili a’ nobili dei nostri giorni, baroni senza baronie e duchi senza ducati, elle sono deitá senza adoratori. Tutto ciò che la divinitá ha di esterno, rimane ancora: la rosea zona e le vaporose erbe dell’Aracinto. Ma l’elemento terrestre è giá penetrato in loro; si tengono ancor dee in mezzo ad un mondo mutato, e sospirano la prima grandezza. Il desiderio di un passato impossibile affretta la loro caduta, cancella ogni orma di divino, e le fa terra e cenere: Satana non fa che svolgere un germe giá preesistente in esse. È una concezione stupenda e direi anche nuova, se non fosse giá lampeggiata innanzi a Lamartine nella sua Caduta di un angiolo. È l’antitesi del concetto dantesco: non è l’umano che, a poco a poco, s’innalza al divino, ma è il divino che scende nel terrestre: è il paradiso che rovina in Malebolge. Ma Prati non ha avuto una chiara coscienza di questa concezione, e se n’è sbrigato con una inconcepibile leggerezza. Se egli l’avesse bene studiata e vagheggiata, avrebbe capito che vi si richiedeva intorno molti anni di lavoro, e che sarebbe bastata questa sola poesia ad allogarlo tra’ grandi poeti italiani, da’ quali è tanto ancora lontano. Egli ha creduto che a rappresentare la divinitá delle Grazie bastasse il dire «le dive sembianze», e «la diva Talia», ed «Eufrosine divina», e «gli orecchi divini»; e che a rappresentarle terrestri bastasse mutar loro il nome e farle piangere ed ululare. Vi è un punto in cui le Grazie sembrano prese d’amore per i tre infelici traditi, ed io che seguivo, scontento, l’anda-