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schopenhauer e leopardi 155

vivere, hai per prima cosa ad astenerti da’ piaceri carnali, e poi castigare la carne con digiuni, cilizii, astinenze.

A. Come sant’Antonio nel deserto.

D. I bramini ed i santi saranno il tuo esemplare; e la ricetta si può ridurre in queste tre celebri parole: castitá, povertá, ubbidienza. Cosi vivere è morire, senza che debba aver ricorso al suicidio, rifugio degli animi deboli.

A. E questo mentre gli altri si divertono, e mi danno la baia?

D. Anzi tu a loro. Perché da tutta l’altezza della tua calma guarderai come da sicuro porto gli uomini in tempesta. E farai come Schopenhauer, il quale, mentre nel quarantotto gli uomini correvano come impazzati gli uni contro gli altri, se ne stava osservandoli con un cannocchiale, e se la rideva sotto i baffi, e diceva: — Fatevi ammazzare voi, eh’ io me ne sto qui a contemplare il «Wille» — . In effetti, se gli uomini si rendessero persuasi che la libertá, l’umanitá, la nazionalitá, la patria e tutte le altre cose per le quali si appassionano, sono astrazioni ed apparenze, ciascuno se ne starebbe quieto a casa sua, si appiglierebbe alla vita contemplativa cosí in privato, come in pubblico, ed in luogo di correre in piazza e affaticarsi e tormentare sé e gli altri, sdraiato su di un canapé e fumando saporitamente a modo di un turco, vedrebbe a poco a poco evaporare tra’ vortici del fumo la sua individualitá e si sentirebbe puro «Wille»

A. Il canapé e la pipa ci è di soverchio: ché, chi vuol morire vivendo, dovrebbe far senza anche di questo. M’ immagino il povero Schopenhauer come un monaco della Trappa, martire della castitá, della povertá, della ubbidienza, dolce come un agnello, e il corpo tutto piaghe per i cilizii.

D. Schopenhauer mangia divinamente, si prende tutt’ i piaceri che gli sono ancora possibili, e grida e schiamazza sempre, tiranneggiato dal «Wille». Se gli nomini Hegel, diviene una impesta, e per calmarlo gli devi fare un elogio della sua chiarezza e della sua originalitá.

A. A che serve dunque la filosofia?