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di piu possente : aveva cuore. Spese tutta la vita per il bene della gioventú, e in questo pose tutto sé stesso, quanto era in lui d’ intelligenza e di passione e di ambizione. Ottenne cosí maggiori effetti per il progresso degli studi, che non molti altri di piú ingegno.

Il difetto capitale di questa scuola non è difficile a intendere, specialmente oggi. Vi si dava troppa importanza alla parola come parola e alla parte meccanica dello scrivere, come la formazione del periodo. Né questo studio potea riuscire a bene, segregato dal presente e dal vivo, e fondato sugli scrittori e di parecchi secoli indietro, come si fa di ima lingua morta. Perciò criteri dello scrivere falsi e arbitrarli e mutabili, spesso mera antipatia o simpatia. Tra le parole scomunicate era «truppa», né valeva opporre che la si trovava in Davanzati, in Davila e altri buoni scrittori; il marchese s’infuriava e dicea che «truppa» gli risvegliava l’idea di «trippa». Per esser puri si diveniva improprii, usando locuzioni consacrate ne’ classici, tenute in Napoli eleganti e ridicole in Toscana. Lo scrivere non era piú una produzione, ma una imitazione secondo certi preconcetti o archetipi. E mi persuado come a quella ottima forma di scrivere prestabilita giungessero anche i piú mediocri, sol che usassero diligenza, e come il marchese, a cui mancava il fiuto dell’ingegno, li tenesse in quel pregio che i suoi piú valenti discepoli, come un abate Meledandri, un Pessolani, vivuti senza infamia e senza lode.

Il marchese stesso confessava che una certa esagerazione era nella sua scuola, e la scusava, come frutto del grande amor suo a’ buoni studi, e diceva: — Chi ama esagera — . Stimava con ragione che una ferrea disciplina fosse necessaria a svezzare la gioventú dalle male abitudini contratte nelle scuole, che si richiedevano rimedi cosí violenti com’era il male, che chiodo ci vuole per trarre dall’asse il chiodo, e ch’egli facea come il chirurgo che par crudele ed è pietoso. Il fatto è che la sua scuola operò una compiuta trasformazione nella coltura nazionale. Si cominciò a studiare un po’ meglio il latino ed il greco; venne in voga lo studio delle cose italiane anche ne’ seminarii,