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l’ultimo de’ puristi 239

di scrivere italiana, di una filosofia italiana, di una sapienza italiana, del Primato d’Italia, che era un continuo gridare sotto diverse apparenze: — Viva l’Italia! — .

Venuto il Quarantotto, quelle voci andarono sempre piú infiacchendo, svegliatosi nel paese il bisogno di accostarsi un po’ piú al mondo civile e assimilarsi la coltura europea. Del purismo rimase una confusa ricordanza, come di tempi lontani, e nessuno ne parlò piú, nessuno spese il tempo per combattere un morto. Ecco ora levarsi una voce solitaria, dispettosa, che in periodi rotondi e dottamente rigirati scomunica tutto il pensiero moderno, e tutti i contemporanei infetti della peste, forestieri e italiani. Il mondo non gii bada; questo non lo disanima, anzi gl’ingrossa la voce e l’accento. Tutte quelle opinioni che il buon marchese esprimeva con molti temperamenti, e lasciava alla libera nostra discussione, eccole qui, in questo libro del signor Ranalli, esagerate, assolute, dommatiche, infallibili.

Ed io spesso interrompevo la lettura e dicevo: — Non valeva la pena: lo ha detto il marchese Puoti — .

La voce del Ranalli rimane senza eco, nel deserto; il mondo cammina e gli volge le spalle, e se pur taluno guarda indietro, è per battezzarlo l’ultimo dei puristi.

[Nella «Nuova Antologia», novembre i868.]