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FRANCESCA DA RIMINI


Quasi all’ingresso dell’inferno incontriamo questa Francesca che Dante ha fatto immortale.

Per molti la Divina Commedia non è che due nomi soli: Francesca da Rimini e il conte Ugolino. E ci sarebbe da fare un bel volume a raccogliere tutto ciò che si è sottilizzato e sofisticato, a voce o per iscritto, intorno a questi due personaggi.

— Perché Dante ha raccontato con tanto affetto i casi di Francesca da Rimini? — Perché, risponde il Foscolo, Dante ha abitato in casa di Guido da Polenta, padre della giovane, e forse vide la camera dove ella dimorò prima di maritarsi, e forse udí narrare il pietoso accidente dalla famiglia e dové in quella prima impressione concepire quell’episodio, che poi d’anno in anno andò toccando e ritoccando insino a che non l’ebbe condotto a perfezione. — E perché il poeta ha gittato nell’ombra il peccato e dato rilievo a ciò che di gentile ed affettuoso è nella peccatrice? — Per delicatezza e per gratitudine, risponde il Foscolo: perché accolto ospite in casa il padre, gli sapea male di doverne infamar la figliuola. — E perché, volendo giustificare o attenuare il peccato, Dante non ha fatta menzione di una circostanza di molto momento, storia o tradizione che fosse, cioè del perfido inganno in che fu tratta la misera che si credea di sposar Paolo, e solo la mattina svegliandosi si accorse di avere accanto il deforme e sciancato Lanciotto, fratello di lui? — Perché una rappresentazione ideale, risponde