Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/277

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settembrini e i suoi critici 27i

senza mutilarlo o frantenderlo. A Catanzaro insegnava e cospirava, distribuendo le ore della giornata con pari zelo nell’uno e nell’altro ufficio. Uscito di prigione, lo trovo in Napoli, sotto «vigilanza» della polizia, un po’ più cauto, ma sempre matto ed anche un po’ aizzato. Maestro privato di lettere latine e italiane, venne presto in fama di scrittore corretto e pieno di buon gusto; che era a quel tempo la maggior lode che mai si facesse a letterato. Il giorno spiegava gli ablativi in «abus» di Lorenzo Valla e il veltro e la lupa di Dante; la notte viveva in mezzo alle deliziose agitazioni degli occulti ritrovi, da cui sorse la Protesta, un libretto di poche pagine, serrato, rapido, pungente come uno stile, rimaso parte indimenticabile della storia italiana. Scontò il delitto con lunga prigionia, a’ cui ozii sì dee l’elegante volgarizzamento de’ Dialoghi di Luciano. — Carlo Poerio e Luigi Settembrini rimasero le due più simpatiche figure della rivoluzione napoletana, e più cresceva l’odio al Borbone, più la loro immagine ingrandiva. — Vennero i fatali. Scacciati i Borboni, fatto il plebiscito, acquistata l’unità nazionale e la libertá, finita la lotta. E senza lotta il Settembrini è infelice, il Settembrini è un mezzo uomo: resta in lui solo il letterato. Molto si è dimenato per trovare sfogo a quell’altro uomo che pur vive in lui e strepita e vuol farsi vedere. Ora si accapiglia col Ministero di pubblica istruzione, e scrive il Pallottoliere e la Lettera al Mamiani; ora dà addosso ai consiglieri comunali, che lo lasciano dire e fanno a modo loro; ora minaccia perfino di passare all’opposizione, ma lo tengono per l’abito, e rimette la cosa al dimani.

Il Settembrini si è sentito di nuovo felice il giorno che il papa ha lanciato nel mondo il Sillabo ed ha scomunicato il progresso, e che il Governo italiano ha fatto cenno di entrare in accordi col papa. Non che il Settembrini voglia Roma capitale d’Italia. Roma gli sembra città cosí appestata, cosi scomunicata, che per lungo tempo la vorrebbe rilegata tra’ musei, come Pompei o Ercolano. Ma egli non vuol sentire a parlare di papa e di prete. E quando vede il prete rizzarsi di rincontro a lui con in mano il Sillabo, ritrova la sua gioventù, ritrova