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il farinata di dante | 285 |
«Ascoltai»! Si sente qui fresca l’impressione del giovane, le prime volte che gli giungevano all’orecchio quei nomi e quei fatti. E con quale commovente semplicitá parla di ser Brunetto!
Ché in la mente m’è fitta, ed or m’accora La cara buona imagine paterna Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora M’insegnavate come l’uom s’eterna. |
Piú tardi troviamo questi uomini involti nelle lotte politiche; e cosí accaniti come i padri loro: persecutori e perseguitati. Vien poi il tempo della sventura e del disinganno. Guido, appena ritornato a Firenze, muore della malattia contratta nell’insalubre soggiorno di Sarzana, luogo del suo esilio. Dante va errando di cittá in cittá, spentagli fin la speranza del ritorno in patria. In quegli anni di tristezza la vita dové apparirgli altra da quella che gli parve sí bella e sí interessante ne’ tempi andati. Fatto parte per sé stesso, alzatosi sopra amici e nemici, le ire e le ingiustizie partigiane sono in lui temperate da un sentimento più nobile: dall’amor della patria.
Allato a questa vita cosí piena di realtà, in mezzo a cui Dante si moveva e a cui partecipava con quella varietá ed energia di sentimenti, che sono il privilegio delle forti nature, ce n’era un’altra: la vita delle scuole e de’ libri. Lá si apprendeva un’imagine non pur diversa, anzi contraria del mondo e dell’uomo. Il grand’uomo, l’eroe, non era Farinata, ma san Francesco d’Assisi; la grandezza era posta nella povertá, nella astinenza, nell’ubbidienza, nell’umiltá; la vera azione era la