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farne «vendetta» lo percote con la «folgore acuta». Ma non perciò Giove ha potuto piegare l’orgoglio di Capaneo, rimasto morto «qual era vivo», né il potrá mai, che che faccia: e qui è l’impotenza di Giove, il suo cruccio perpetuo, la sua vendetta non allegra. Capaneo dal fondo dell’inferno lo sfida e lo ingiuria, come facea vivo, e, per meglio certificare l’impotenza del Dio nella sua lotta contro di lui, ti offre una successione di sforzi con un maraviglioso crescendo, fino a rappresentare il Dio nell’atto ridicolo di raccomandarsi al buon Vulcano, gridando: — «Ajuto, ajuto!» — , ricordando con amaro frizzo la pugna di Flegra, quando fu assalito de’ Giganti. E a questo Dio, circondato di tutta la sua potenza e armato di tutte le sue armi, che cosa Capaneo contrappone? Un semplice me:
                         

E me saetti di tutta sua forza.

                         
Rappresentazione maravigliosa di energia e di armonia, dove parola, frase, cadenza, periodo, colorito, il tono, lo stile e la forma esce tutto dalla profonda e immediata contemplazione del poeta.

Ma tutto questo non è che il di fuori, la simulazione e l’apparenza della forza, di rincontro a cui sembra impotente lo stesso Giove. La vera forza è al di dentro, nell’anima, ed è semplice e tranquilla, né per affermarsi e farsi credere le è mestieri tanto apparato e pompa esteriore. Capaneo, che sotto alla pioggia del fuoco giace «dispettoso e torto», sí che secondo l’apparenza la pioggia nol matura,

                         

Si che la pioggia non par che il maturi,

                         
più mena vanto, piú si sforza di dimostrare la sua forza, e meno ci riesce: perché la vera forza si vede, non sì dimostra. Essendo la sua forza puramente materiale, quando fu percosso dalla folgore, entrò nella sua anima questa persuasione: che Giove materialmente è più forte di lui. Ma la sua fiacchezza morale gl’impedisce di fare ad altri e a sé stesso questa con-