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il farinata di dante 289

Nel Capaneo il concetto è colto al rovescio e in antitesi a papa Celestino. In questo papa e ne’ suoi simili ci è l’assenza della forza, il non esser vivo; nel Capaneo ci è la millanteria della forza, la vanagloria dell’esser vivo: «Qual io fui vivo, tal son morto». In questa profonda concezione di Dante la forza ci sta non per raggiungere alcuno degli alti ideali, a cui è fatta la nostra semenza, ma ci sta per sé stessa. Se mi è lecito di parlare un po’ alla tedesca, è una forza subbiettiva, vuota di contenuto, senza scopo e senza motivo, perciò arbitraria: la forza per la forza. Gli antichi rappresentarono questo concetto nella favola de’ Giganti che volevano scalare il cielo, e Giove che li fulmina è appunto la forza delle cose che si vendica e li gitta giú. Prometeo tace ed è tranquillo nel suo martirio, perché Prometeo è già l’uomo, forza conscia e libera, che ha le sue idee e i suoi fini, e anche vinto si sente maggiore della natura o di Giove. Capaneo non è ancora l’uomo, ma è il nato de’ giganti, la forza ancora bruta e naturale, di un’apparenza colossale al di fuori, ma vuota e fiacca dentro. In effetti, se guardiamo il di fuori, l’imagine della forza prende le piú grandi proporzioni. Capaneo, ucciso dal fulmine di Giove, non si confessa vinto, anzi dice con jattanza: — «Qual io fui vivo, tal son morto». — Né bastandogli, si studia mettere in maggior risalto la sua forza:

                                    Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui
Crucciato prese la folgore acuta,
Onde l’ultimo dí percosso fui;
     E s’egli stanchi gli altri, a muta a muta,
In Mongibello alla fucina negra,
Gridando: Buon Vulcano, ajuta, ajuta,
     Sí com’ei fece alla pugna di Flegra;
E me saetti, di tutta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra.
                         
Capaneo concepisce Giove a sua similitudine: si finge un Giove plebeo e grossolano, pura forza materiale, e senz’avvedersene fa il ritratto e la condanna di sé stesso. Codesto Giove è «crucciato» che Capaneo osi vantarsi uguale o superiore a lui; e per
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De Sanctis, Saggi critici.-ii