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motivi e i suoi fini: ciò che Dante chiama «esser vivo», e ciò che costituisce l’individuo, la persona libera e consapevole. In papa Celestino ci è assenza di carattere. Nella Fortuna il carattere è cristallizzato, come nella natura. Nel Capaneo è pura forza, è in potenza, non è in atto. Nel Farinata la forza non è qualche cosa che stia da sé, ma è già un divenuto, e la senti vivere nell’energia delle convinzioni e de’ sentimenti e delle azioni. E questo è il carattere, questo è la persona, nella ricchezza delle sue determinazioni, nella libertá de’ suoi movimenti vita e azione. Cosí l’uomo esce dall’indeterminato del simbolo e del puro ideale, e diviene reale, diviene un personaggio drammatico: l’attore.

Ma questo non è fin qui che il nudo e magro concetto dell’uomo, del virile. Ora noi vogliamo assistere al più magnifico spettacolo a cui l’umanitá possa essere invitata: vogliamo vedere questo concetto moversi, animarsi, prender carne, divenire una forma. E quando lo vedremo lí, dirimpetto a noi, compiutamente realizzato, potremo dire: — Ecco l’uomo! — .

Farinata, il grand’uomo della generazione passata, vive giá da molto tempo nell’immaginazione di Dante, è un personaggio lungamente covato e ammirato. Giá dicemmo che Dante, incontrando Ciacco, dimandò: — Dov’è Farinata? fa che io lo conosca — . Come giunge nel cerchio degli eretici, volge lo sguardo intorno: sapea Farinata seguace di Epicuro, e spera trovarlo colá, ma rimane deluso: nessun uomo, solo tombe scoperchiate.

                                    La gente, che per li sepolcri giace,
Potrebbesi veder?
                         
chiede a Virgilio: domanda in apparenza generale, la cui sostanza è non in quello che è espresso, ma in quello che è sottinteso, che tace il labbro ed hanno già espresso gli occhi; e Virgilio lo guarda e l’indovina:


                               .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   satisfatto sarai tosto,
Ed al desio ancor che tu mi taci.