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il farinata di dante 305


                                    E se, continuando al primo detto.
Egli han, disse, quell’arte male appresa,
Ciò mi tormenta piú che questo letto.
                         

Quest’uomo in tutto questo spazio non pensava che a quel detto di Dante: dalle parole di costui fino alla sua risposta corre un qualche intervallo, riempito da Cavalcante, che è interruzione per il lettore, ma per il «magnanimo» continuazione dello stesso pensiero, prolungamento dello stesso dolore: un dolore che vuol dominar solo, che non patisce compagnia, che lo rende estraneo alla morte del genero, che dico io? che lo rende estraneo al foco dell’ inferno; il dolore morale gli fa obbliare la pena materiale, o, per dir meglio, glie la fa ricordare, solo per trovare il suo dolore piú grande al paragone:


                              

Ciò mi tormenta piú che questo letto.

                              

Chi vuol sentire quanta distanza è tra la vanitá millantatrice di Capaneo e la severa grandezza di Farinata, vegga qui. Capaneo parla con jattanza, per dissimulare a sé e agli altri la coscienza della sua sconfitta. Farinata non ha nulla a nascondere : mente è nelle sue parole che non sia dentro nell’anima; e innanzi a Dante che gli ha infisso lo strale, esprime la grandezza infinita del suo dolore. Ma quello strale il fiero uomo lo rigitta la ond’è partito. — Tu dici che i miei hanno male appresa l’arte di ritornare in patria: ma anche tu saprai per tua esperienza quanto è difficile imparare quell’arte. — È lo stesso strale lanciato da Dante che colpisce Dante nel cuore:
                                    Ma non cinquanta volte fia raccesa
La faccia di colei che quaggiú regge.
Che tu saprai quanto quell’arte pesa.
                         

Ma, aprendo la ferita nel cuore di Dante, non perciò Farinata sente lenire la sua, e non si può consolare che il popolo sia cosí «empio», senza pietá, verso i suoi. Dante gli ricorda, non