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226 | saggi critici |
Almeno ci fosse stata una rapida pubblicitá. Oimé! questo era ed è ancora un altro guaio in Italia. Perché un libro sia noto dall’un capo all’altro, ce ne vuole. Piú difficile ancora è averne un giudizio che valga. A Bologna stessa crede l’autore che «non ne avran fatto caso nessuno, o poco di bene ne avran detto».
Pure, dovette esser a lui una grande soddisfazione quella stampa in buona carta, in caratteri nitidi, passabilmente corretta, e ne esprime la sua gratitudine al Brighenti con sincera effusione. A sentirlo, virtú è vanitá, gloria è vanitá. Pure, gli piaceva la lode, si sentiva poco noto, desiderava si parlasse di lui, s’inalberava contro i pedanti. Leggete le sue Annotazioni alle Canzoni, e vedrete che stizza di certi giudizii, che aria di superioritá, come mena il flagello. Sotto al filosofo c’era il cuore di un uomo. E questo appunto ce lo rende interessante e ci spiega il poeta. Altro è l’intendere, altro è il volere. Poteva credere alla vanitá della vita, ma in certi momenti felici voleva vivere. E fu un momento felice questo. Si sente nel cuore non so che di nuovo, la mente si dispone a certi sentimenti ch’egli chiama «romanzeschi» e sono i sentimenti della sua prima giovinezza. Il 22 novembre, fatta la stampa, scrive al Brighenti:
Molto mi compiaccio d’intendere i vostri sentimenti romanzeschi, nei quali io vi avrei tenuto compagnia qualche anno fa, ed ora non desidero di non tornare ancora a partecipare, perché pare che la mia mente vi si disponga di nuovo.
Gittiamo un’occhiata su questo volume tanto atteso. Delle dieci canzoni le tre prime, la canzone d’Italia, la canzone di