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zola e l’«assommoir» 297


Un’appendice.


È chiaro che in questa conferenza l’ultima parte, che è la conclusiva, potè essere appena abbozzata. Dopo due ore e mezzo di discorso non ne potevo piú. E non mi fa meraviglia che alcuni mi abbiano frainteso, vedendo in queste ultime conclusioni una specie di eccletismo, secondo quel motto: «Tous les genres sont bons, hors le gerire ennuyeux».

L’eccletismo è la tolleranza e la libertá di coscienza; è la prima vittoria delle idee nuove. La Riforma vinse, quando dopo lunga lotta acquistò il suo dritto di cittadinanza accanto agli altri culti. Dire oggi: idealismo, realismo, poco importa: divertiteci, non annoiateci, ecco quello che importa; dire questo è giá una vittoria per i principii nuovi.

Ma l’eccletismo troppo continuato è uno stato pericoloso dello spirito. I piú ci stanno, perché non vogliono darsi il fastidio di studiare e formarsi un’opinione; errando tra il si e il no, giungono all’indifferenza, che è l’anemia dello spirito, il tarlo della nostra societá. E l’indifferenza si propaga come la peste in tutti i rami dell’attivitá umana, religione, filosofia, scienza, arte, politica.

Capisco che in questi tempi di transizione, dove il vecchio ha ancora una gran forza di resistenza, ed il nuovo mescolato con elementi impuri non ha ancora una posizione chiara innanzi al maggior numero, l’eccletismo è una necessitá, mentre i lottatori combattono con varia vicenda. Bisogna conquistare la platea, cioè il grosso pubblico, abbagliato dagli splendori del passato, e non ancora ben chiaro delle nuove tendenze. Nella scienza sono venuti fuori tra i realisti cosí illustri cultori che la partita si può dire guadagnata. Nell’arte non sono comparse ancora stelle di prima grandezza, ed è giá un gran passo costringere la platea all’eccletismo. Ci è ancora nelle nostre idee e nei nostri costumi quella che io ho chiamato la malattia dell’ideale. E