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304 | saggi critici |
cianesco, ed era il suo fare, quel suo ridere a mezzo, che gli errava perpetuamente tra le labbra, e che è spesso l’impronta di quell’uomo contemplativo che dicesi artista.
Vedete nell’ergastolo. Si spassa a fare ritratti. Dico «si spassa», perché ci mette un piacere di artista, anche a dipingere ladri e omicidi. E come ne afferra bene i tratti caratteristici! con parole impressionate, pregne di caricatura, di sarcasmo, d’ironia, di disgusto. Il Nasone (un contadino abruzzese) è
Pure, il disgusto non è tale che gli vieti quell’allegria artistica che viene dalla caricatura. Si mette innanzi i suoi compagni di stanza, e li squadra con quel cotal riso, e foggia de’ tipi. Spesso li coglie nel parlare, e con vivezza napoletana li contraffá, e li fa parlare con le loro frasi e con i loro modi e gesti e intonazioni, sí che è un gusto a sentirli, e dimentichi l’ergastolo come lo dimenticava dipingendo o traducendo il povero Luigi. Il ritorno era più crudele, e gridava:
La morte fa paura; e a me fa paura la vita, e troverei un po’ di quiete nel nulla donde sono uscito, e dove ritornerò... Io fo come Giobbe, mi siedo sul mio letamaio.
E, dopo di essersi sfogato, conchiude: «Ma seguitiamo a dipingere i compagni della mia cella». Con questi intermezzi ripigliava i ritratti, e ci sentiva piacere, e ci gustava l’obblio. Ecco «il giudice», un contadino abruzzese, un allegro matto, «secco, asciutto, senza barba, con l’aria, il contegno, il sussiego, la cravatta, e le labbra strette del giudice criminale Scu-