Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/343

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nota 337


plicitá, di qua dalla quale è negligenza e volgaritá e ruvidezza, e di lá non è altro che lezi e belletti e lascivie.

Pesami il dovermi dividere da questo scrittore; che io ho adorato, come si fa di cosa perfetta, infin della mia prima giovanezza. Io l’ammirava grande nelle poesie e nelle prose, qui mi apparisce principalmente buono. Prima io mi prostrava innanzi a lui, timido d’accostarmi a tanta altezza: ora cosí soave bontá m’ invita, e sento quasi di essergli amico. E leggo le lettere che a queste seguitano di Pietro Giordani con quella gioia, onde altri ode da venerando uomo dirsi le lodi d’un suo diletto. E venero i suoi giudizi. Una sola cosa senza alcuna dichiarazione io non posso consentire a Pietro Giordani, quando ei chiama Giacomo Leopardi «la stella dell’occaso». Certo un poeta interpetre d’un popolo scaduto si può veramente chiamare Astro dell’Occaso, il quale descriva delicate voluttá, in cui quel popolo affoga la coscienza della sua perduta grandezza: tale fu Orazio. Ma quando un poeta e freme e si agita e si addolora della nullitá che gli è intorno, giá profeta ei si fa forse inconsapevole di non lontano risorgimento. Onde chiamisi pure, se cosí piace, il Leopardi la stella dell’occaso; ma sia di quel rubicondo occidente, che annunzia il ritorno di piú splendido sole.

Abbiamo trascritto fedelmente dal manoscritto napoletano, e per non andare nel pedante abbiamo trascurato di indicare i mutamenti di punteggiatura ed altre inezie. Ma non possiamo non dar rilievo a quel « le vengon giú dalla penna », dove il Cortese legge: «gli vengon ecc.»: evidentemente il pronome va riferito alle frivolezze amabili, e il le è un po’ il le aulico fiorentino per elle. E poi ancora non è trascurabile la grafia di non che, piú che, alcun che, che il D. S. scrive diviso, e che in Co diventano poiché, nonché, alcunché. Ma piú grave di tutti quel «lezi», che in Co diventa «lezzi», quasi fosse plurale di lezzo!

Per altri rilievi su questo saggio, ricorderò quell’« interiore o esteriore » che c’è nel Ms, e che c’ è anche nella stampa, nel giornale «Il Cimento» (a. IV, s. IV, vol. VII, i856) e che il Cortese capovolge in «esteriore o interiore»; non accettiamo nemmeno dal Cortese «discostino» (p. 6) al posto di «discostano», lezione concorde di manoscritto, giornale e volume desanctisiano : soltanto l’Arcari (Saggi critici di F. d. S., prima edizione milanese, i9i4, I, pp. 209-2i0) ha discostino. Ma a parte la lezione prevalente nei testi del D. S., la stessa interpretazione (filologicamente bisogna anche interpretare) porta all’ indicativo e non al congiuntivo.

L’articolo del «Cimento» si chiude con queste parole, sop-