Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/37

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l’ugolino di dante 3i

Il «rodere» è posto accanto al lacrimare; quell’uomo piange, ma il suo pianto ti spaventa, e ti pare ad ogni tratto che in mezzo alle lacrime, mutato il dolore in rabbia, dia di morso a quel teschio. Parla e piange, e non giá per fare il volere di Dante, come la gentile Francesca, ma per odio, perché le sue parole «fruttino infamia» al traditore. L’ultima pennelleggiata è in quel terribile «tal vicino». «Vicino» risveglia idea benigna d’amicizia e dimestichezza di uomini che vivono ed usano insieme, ma in bocca ad Ugolino è una ironia amara.

Con questa combinazione patetica la poesia entra anche in questo prosaico fondo dell’inferno, e fonde il ghiaccio e risucita la vita. E la poesia non è altro che la rappresentazione del tradimento, che è la colpa qui punita in tutte le sue gradazioni, fatta non dal traditore, il cui cuore indurito e perciò ghiacciato è morto ad ogni sentimento, è immobile come quel teschio, ma fatta dalla vittima, divenuta il suo carnefice.

Creata questa situazione, il regno della ghiacciata e prosaica necessitá ridiviene il regno libero dell’arte. Ugolino, se, come traditore, è lui pure tra’ ghiacciati, come vittima, posta lí dal divino giudizio col capo come «cappello» al capo dell’offensore, è non solo un istrumento fatale dell’eterna legge, ma l’offeso che mette nell’adempimento dell’ufficio tutte le sue passioni di uomo e di padre. Indi è che nella rappresentazione della pena il concetto della giustizia rimane un sottinteso: né il poeta vi fa alcuna allusione, né Ugolino ne ha coscienza. Bertram dal Bormio è non altro che peccatore e dannato, che riconosce in sé la giustizia della pena e può dire:

                         

Cosi si osserva in me lo contrappasso.

                         

In questo caso l’interesse poetico non può nascere che dall’orrore e dalla maraviglia di una pena cosí insolita, un busto che tiene per le chiome «pesol con mano» il suo capo tronco, un orrore e una maraviglia che si trasforma in un appagamento intellettuale, quando la pena è spiegata e legittimata. Ma Ugolino qui non è il peccatore e il dannato, e non è neppure un