Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/375

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nota 369


pareggeremo in tutto il resto, la scienza ci ritornerá tutte le forze della vita. Ah! Signori, non è la Scienza che a noi manca; ciò che a noi manca, è l’uomo. Non è la scienza che ha dato alla Germania la fede, l’arte, il senso del dovere e del sacrificio, la disciplina, la tenacitá, il coraggio morale, il sentimento della natura e della famiglia e dello stato e della legge, tutte quelle forze che nel loro insieme noi chiamiamo l’uomo. Li dietro allo scienziato ci è l’uomo, e per una facile illusione noi diamo all’uno quello che è proprio dell’altro. Può la scienza essa sola surrogare l’uomo? La Scienza è la vita? Conoscere è potere? E come operò la Scienza? Quale fu la sua azione sulla societá?

La scienza è una coscienza razionale del mondo, il mondo spiegato dalla ragione. La sua azione diretta sugli uomini è di dar loro una coscienza piú chiara di tutti gli elementi della vita. La ti può dare una filosofia della religione, dell’arte, della storia, della legislazione, del linguaggio, dell’uomo, dello stato; essa non è nulla di tutto questo; non è religione, né arte, né storia, né legislazione, non è il linguaggio, e non è l’uomo, e non è lo Stato. Ti di la coscienza della vita, ma non è la vita. Pur quella coscienza non rimane giá vuota e sterile speculazione, ma ha un’azione sulla vita, un’azione indiretta, piú o meno efficace, secondo la materia in cui lavora. Dico azione indiretta, perché ella non opera solo come scienza, ma in compagnia di tutte le altre forze morali della vita, e la sua opera è condizionata dalla materia che trova. Il suo torto è quando concepisce la vita a fil di logica, e non tien conto della materia che le è data, e acquistando una coscienza esagerata della sua forza e della sua missione, quasi che conoscere e potere fosse il medesimo, si attribuisce un’azione diretta sulla vita, e lavora a ricrearla a sua immagine, secondo certi suoi tipi o ideali.

La Scienza ha forza grande, quando trova riscontro negli elementi reali della vita, apparecchiati a riceverla e fecondarla. La sua azione è al contrario infeconda, quando pone la mira troppo alto, e le forze sociali la ributtano. Cosi lo stoicismo potè guadagnare a sé individui, ma non potè formare o riformare alcuna societá, anzi esso non fu se non la consacrazione della dissoluzione sociale, il si salvi chi può il savio ritirato in sé stesso, impassibile alle vicissitudini del mondo esterno, disertore della societá. Maggior successo ebbero gli Accademici, che erano gli eclettici e i moderati di quel tempo, perché tenendosi in bilico tra stoici ed epicurei, rimanevano in quella mezzanitá che meglio rispondeva alla bassa temperatura sociale, insino a che, vinto ogni ritegno, la societá si chiari epicurea e materialista. Certo, se Epicuro e i suoi seguaci riuscirono, non fu loro merito o loro influenza; fu che la societá era piú epicurea di Epicuro, e per cagioni sue intrinseche, derivanti dalla sua storia, cioè dalla sua vita, della quale la Scienza era complice involontaria. Non fu la dottrina che ricreò la vota a sua immagine; fu la vita che si mirò e si riconobbe nella dottrina. La scienza è irresistibile, quando intende non a rinnovare la vita, ma a consacrarla e legittimarla, quasi sua mezzana, come un poeta cesareo,