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l’ugolino di dante 43


Qui tutto è armonia terribile, il poeta, l’attore e lo spettatore: tal peccatore, tal narratore, tale spettatore e tale poeta: si compiono e si spiegano a vicenda. Tutto è in proporzioni oltre il vero: non ci è ancora la giusta misura umana, non ci è la statua: c’è la piramide, c’è il colosso, c’è il gigantesco, dove la primitiva antichitá esprimeva quei primi moti ancora oscuri della coscienza, quel sentimento della grandezza, dell’infinito tanto piú terribile alla fantasia, quanto men chiaro, meno analizzato. Tale è il segreto di questi formidabili schizzi danteschi, cosí scarsi di sviluppi, cosí pieni di ombre e di lacune, che per sobrietá di contorni e di chiaroscuro ingigantiscono le proporzioni e i sentimenti. Spesso è una sola immagine che opera il prodigio, e ti strappa alla realtá e ti slancia oltre le leggi del verosimile ne’ regni dell’immensitá. Di tal natura è il forbirsi la bocca a’ capelli del capo guasto, e il muoversi della Capraja e della Gorgona. Quel forbirsi la bocca ti spaventa, e non per l’atto in sé stesso, ma perché ti presenta tutta la faccia d; Ugolino, e con lineamenti ideali corrispondenti a quell’atto: hai giá innanzi l’espressione oltrenaturale dell’immenso odio, concepisci l’infinito. Il poeta dice:

                               .  .  .  Io vidi due ghiacciati in una buca,
Si che l’un capo all’altro era cappello;
     E come il pan per fame si manduca,
Cosi il sovran li denti all’altro pose,
Lá ’ve il cervel s’aggiunge con la nuca.
                         

Qui ci sono le piú minute particolaritá topografiche e con termini tecnici, fino volgari; eppure tutto questo è prosaico, perché al di lá non vedi nulla: i contorni sono finiti, la visione è evidente; ma perché qui non c’è altro se non quello che è espresso, l’immaginazione rimane inerte. La poesia comincia, e ve ne avvedete alla stessa solenne ed epica intonazione del verso, quando

                                    La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator  .  .  .