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42 | saggi critici |
ha realizzato il delirio nell’inferno, perpetuando quell’ultimo atto e quell’ultimo pensiero. È un sentimento di furore canino. Tutto questo è possibile; tutto questo può essere concepito, pensato, immaginato; ciascuna congettura ha la sua occasione in qualche parola, in qualche accessione d’idea. L’immaginazione del lettore è percossa, spoltrita, costretta a lavorare, e non si fissa in alcuna realtá, e fantastica su quelle ultime ore della umana degradazione. Al di sopra di queste impressioni vaghe e perplesse rimangono quei quattro innocenti stesi per terra, e i loro nomi ripetuti per tre di nella sorda caverna da una voce che non sai piú se sia d’uomo o di belva. Ma l’eco di quei nomi risuona nell’anima del lettore, che sente sé stesso nelle ultime parole di Dante. Perché, mentre la belva torce gli occhi e riafferra il teschio co’ denti, innanzi a lui stanno que’ cari giovinetti, e li chiama per nome, ad uno ad uno, tutti e quattro, e grida: — Erano innocenti:
Innocenti facea l’etá novella . . . . Uguccione e il Brigata, E gli altri due che il canto suso appella. |
Ma, se il pianto di Ugolino è furore, la pietá di Dante è indegnazione, imprecazione, e in quella collera esce fuori una nuova maniera di distruzione contro la cittá che aveva dannato a perire quattro innocenti:
Movasi la Capraja e la Gorgona, E faccian siepe ad Arno in su la foce, Si ch’egli anneghi in te ogni persona. |
Non so se sia piú feroce Ugolino che ha i denti infissi nel cranio del suo traditore, o Dante che, per vendicare quattro innocenti, condanna a morte tutti gl’innocenti di una intera cittá, i padri e i figli e i figli de’ figli. Furore biblico. Passioni selvagge in tempi selvaggi, che resero possibile un inferno poetico, sotto al quale vi è tanta storia.