Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/47

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l’ugolino di dante 4i

anima infranta, piú simile a convulsioni, a delirii, che a discorsi. Non sono pensieri, e quasi neppure parole: sono grida, sono interjezioni. È l’espressione nella forma bruta. £ l’affetto nella forma istintiva e animale. Vivi i figli, non potè chiamarli per nome, non potè esprimere la sua tenerezza, il suo dolore: eccolo lí ora, a brancolare sopra ciascuno, e chiamarli, chiamarli per tre giorni:

                         

E tre dí li chiamai poi ch’e’ fur morti.

                         

Prima che morisse il corpo, morto era l’uomo; sopravviveva la belva, mezza tra l’amore e il furore, i cui ruggiti spaventevoli non sai se esprimano suono di pietá o di rabbia. Qui non c’è piú analisi, qui non c’è piú un pensiero, non un sentimento chiaro e distinto. Quel chiamare i figli era dolore, era tenerezza, era furore, era tutto Ugolino divenuto istinto ed espresso in un ruggito. C’è intorno a quest’uomo giá ferino un’aureola di oscuritá, quali sono gli ultimi silenzii e le ultime agonie nella camera del moribondo. Tal è l’effetto formidabile degli ultimi oscuri momenti.

                         

Poscia piú che il dolor potè il digiuno.

                         

Verso letteralmente chiarissimo, e che suona: piú che non potè fare il dolore, fece la fame. 11 dolore non potè ucciderlo; lo uccise la fame. Ma è verso fitto di tenebre e pieno di sottintesi, per la folla de’ sentimenti e delle immagini che suscita, pei tanti «forse» che ne pullulano, e che sono cosí poetici. Forse invoca la morte, e si lamenta che il dolore non basti ad ucciderlo, e deve attendere la morte lenta della fame; è un sentimento di disperazione. Forse non cessa di chiamare i figli, se non quando la fame piú potente del dolore gliene toglie la forza, mancatagli prima la vista e poi la voce. £ un sentimento di tenerezza. Forse, mentre la natura spinge i denti nelle misere carni, in quell’ultimo delirio della fame e della vendetta quelle sono nella sua immaginazione le carni del suo nemico, e Dante