Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/46

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40 saggi critici


Quegli «u» del secondo verso ti fanno venire freddo, tanto il suono è cupo. Nei padre un silenzio di compressione, ne’ figli un silenzio d’agonia; ma non è quel prosaico «non risposi e non lagrimai»; è un silenzio illustrato e fatto eloquente da un grido che annunzia la prossimitá della catastrofe. Oramai, non è solo il corpo prostrato dalla fame; anche l’anima è attinta, e non regge piú. Ugolino invoca la terra che si apra e l’inghiotta; e la maledice e la chiama crudele:

                         

Ahi cruda terra, perché non ti apristi?

                         

É l’impazienza della fine; mancata è la forza del soffrire, logorata pure da quella lunga compressione, da quel lungo sforzo contro natura. Ma il feroce poeta noi lascia, che non gli abbia bene infissa nel cuore un’ultima pugnalata, per la mano di que’ fanciulli terribili, ignari nella loro innocenza delle ferite che fanno:

                               Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
Dicendo: Padie mio, ché non m’aiuti?
                         
Come se il padre possa e non voglia aiutarlo.

Sopravviene la catastrofe. E il padre li vede morire, cosí vero, come è vero che Dante vede lui, morire ad uno ad uno, e fu uno strazio di tre giorni:

                                    Quivi mori; e come tu mi vedi,
Vid’io cascar li tre ad uno ad uno
Fra il quinto di e il sesto...
                         

Non ci è un particolare vuoto. Quello spettacolo di morte si ripete quattro volte, e a lunghi intervalli, entro tre giorni, e fu possibile che un padre vedesse questo, e starsi quieto, tener chiuso in sé il martirio, snaturarsi, disumanarsi.

Succede lo scoppio. L’anima lungamente compressa trabocca. E non è giá sfogo eloquente di un sentimento umano, conscio e attivo, intelligibile a sé e agli altri. £ sfogo di una