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vii. situazioni petrarchesche | i47 |
C’è in questa canzone qualche cosa d’indivisibile che non te la lascia analizzare, indivisibile come la vita. Ben possiamo artificialmente tirar di qua e di lá delle frasi e costruirne un insieme. Possiamo, per esempio, cavarne un ritratto de’ mercenarii barbari, che vendono l’anima a prezzo, passano da un campo all’altro, combattono da scherzo, non possono aver cari gli altri, avendo sé cosí a vile, gente ritrosa, che, se ci vince d’intelletto, è non sua virtú, ma nostra inerzia, gente in cui il valore è «furore», inculta e selvaggia, come i loro «deserti strani», ecc. Ma tutto questo è fuso con altri pensieri e con altri sentimenti; e tutto vien fuori come un solo impeto, col rigoglio e la facilitá della forza. Aggiunge interesse alla canzone l’individualitá del poeta, il quale è uno zucchero a sentirlo, con quel tono di baldanza e sicurezza giovanile.
Poco vedete, e parvi veder molto... Io parlo per ver dire, Non per odio d’altrui né per disprezzo... I’ vo gridando: pace, pace, pace. |
Pure, al di sotto di questo Petrarca cosí giovane, si sente giá il Petrarca futuro, si sente giá una certa disposizione alla tenerezza. Commovente è il principio, dove lo vedete raccolto e a capo basso; e tra’ piú belli movimenti d’affetto, e ce ne ha tanti, è dove si sente tutt’ad un tratto assalito dalle dolci memorie, che ci rendono caro il luogo nativo:
Non è questo ’l terren ch’i’ toccai pria? Non è questo ’l mio nido, Ove nudrito fui si dolcemente? Non è questa la patria in ch’io mi fido, Madre benigna e pia, Che copre l’uno e l’altro mio parente? |
Sono rimembranze comuni a tutti, di modo che non c’è italiano che non se ne senta intenerire. Il poeta ha perciò po-