Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/186

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i80 saggio critico sul petrarca

presto quel capo fiacco cade sul petto. Le Ninfe si lamentano; Prometeo non fa motto. Questo silenzio altero, la solitudine dell’anima nell’indifferenza o nel vano compianto del mondo, il disprezzo d’ogni consolazione, quel trincerarsi nella propria disperazione e non volerne uscire, e farsene piedistallo, e soprastare di lá inerme al destino onnipotente, è fuori, è troppo al di sopra della sua natura. Il Petrarca nella solitudine è piú accompagnato, che in mezzo al mondo il Leopardi. Sente il bisogno di sfogo, di comunicare intorno il suo dolore, con vani lamenti, quanto piú vani innanzi alla ragione, tanto piú eloquenti e appassionati. Ora accusa la morte, ora deplora il suo stato, ora si ostina su quelle forme con un tristo: — E passato — (son. XLV), mezzo tra rimembranze e riflessioni. Qualche volta pensa (son. XLVIII, XLIX):
                                         Poco aveva a ’ndugiar, ché gli anni e ’l pelo
Cangiavano i costumi...

     Pur vivendo vernasi ove deposto
In quelle caste orecchie avrei, parlando.
De’ miei dolci pensier l’antica soma;
     Ed ella avrebbe a me forse risposto
Qualche santa parola, sospirando,
Cangiati i volti e l’una e l’altra coma.
     
Il nostro Petrarca si sentiva giá vecchio, ed immagina: — Se Laura vivesse ancora, che bel vivere insieme! — . E si foggia questa vita ipotetica con tanta evidenza, che ci par d’assistere alla conversazione di due amanti invecchiati.— ’Io le avrei raccontate tutte le mie pene, ed ella, senza piú sospetto o paura di me, come mi avrebbe udito volentieri! — Questa scena da Bauci e Filemone, a cui consacra tre sonetti, è dipinta con una compiacenza tale, che vi obblia il presente. Notabile è sopra gli altri il sonetto quarantesimosettimo. È una esposizione riposata, come di chi abbia giá volte le spalle alle passioni, dopo «lunga e torbida tempesta» giunto in «tranquillo porto».