Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/232

Da Wikisource.

XII

CONCHIUSIONE


Riflettersi sull’esistenza, e assimilarsela, gustarla, goderla, interpretarla, idealizzarla, è privilegio dell’anima umana, specchio, misura, coscienza del mondo. Il Petrarca fu lo specchio di sé stesso; si ammira, si analizza, si compatisce, si conforta, si tormenta. E se talora si sforza di uscirne, come ne’ Trionfi, non è che apparenza; tutto gravita intorno a lui. Il mondo è un accessorio: non esiste per sé, ma per lui, colorato e trasformato dalle sue impressioni. Laura stessa, come realtá posta fuori di lui, è appena schizzata; ed è viva, quando dopo la morte diviene la sua creatura. Esploratore instancabile del proprio petto, segna in poesia quel medesimo stadio che Socrate in filosofia. Contemplativo anziché militante, converso e chiuso in sé stesso, ha rappresentato i fenomeni piú fuggevoli e delicati del cuore umano, a spese del proprio cuore, fattosene il carnefice. Quanto piú avanza negli anni, piú il reale gli sfugge, piú l’immaginazione lo consuma. Ad un dolore in gran parte immaginario, alternato con brevi speranze, con impeti di gioja e di entusiasmo, succede un dolor vero, e cronico, in cui si rivela il disinganno ed il vuoto d’una vita nel declinare. Talora sembra che quasi scherzi con la sua anima, e ne faccia una materia letteraria; l’esperienza dolorosa della vita rende lo scherzo serio. Queste gradazioni nello stato dell’anima spiegano l’ineguaglianza delle sue poesie. Ora trovi simulazione rettorica di sentimenti, non senza una certa buona fede, un credere d’averli.