Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/29

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NOTA DELL’AUTORE


Quando usci questo scritto, parve quasi temeritá quel porre a base dell’arte il vivente, e quel romper guerra all’ideale. Ma oggi ha fatto ne’ poeti e ne’ critici un cammino cosí celere il verismo, il positivismo, il realismo, che quello che allora pareva audacia può parere un luogo comune, e forse anche intempestiva. Oramai siamo a questo, che dell’ideale si parla come della metafisica, tutto roba anticata. Io condannava quegl’ideali vuoti e astratti, che non rispondevano piú alla coscienza, divenuti un mero vocabolario, un gergo di convenzione. A me piaceva di veder l’arte mettersi in una via piú conforme allo stato presente della coscienza, piú vicina alla schietta natura. Questo fu il voto, col quale chiusi la mia Storia della letteratura, dove il principio direttivo è la successiva riabilitazione della materia, un graduale avvicinarsi alla natura ed al reale. Questo inculcai pure nell’ultima mia conferenza, dove a proposito di Zola indicai come caratteri della nuov’arte la naturalitá e l’animalitá. Ma poiché questa nuov’arte prende aspetto visibile di reazione e di esagerazione, e, come tutte le ribellioni, non si contenta di metter da parte l’ideale, ma vuole addirittura ammazzarlo, io rido di questi furori, e dico che l’ideale non può morire se non coll’uomo. Penso che i piú accaniti gridacchiatori contro l’ideale non hanno di quello un concetto chiaro, e maledicono ciò che non conoscono. Credono che l’ideale sia il contrario del reale, e che ci sia incompatibilitá tra’ due e che la vita dell’uno sia la morte dell’altro. E bene