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iii. il mondo di petrarca 55


memoria in un lamento funebre, penetrato di una malinconia pura da ogni amarezza, anzi sposata con immagini piene di grazia: è un sorriso sulle smorte labbra.

Venne l’Alighieri e cacciò tutti di nido. Non v’attendete giá ch’io voglia parlarvi di Dante; non se ne può avere una giusta immagine cosí per incidente. Solo dirò al mio proposito, che in lui sono gli stessi difetti, abuso di scienza, di allegoria, di personificazioni, idee attinte nel comune arsenale e comunemente dette. Il primo sonetto è una freddura, e ce ne ha parecchi altri di simili. Ma giá vi fiutate quella possanza di forma, a cui doveva alzare la poesia. Che la gentilezza nasca dall’amore, è uno dei luoghi comuni del tempo. Ma la prima volta



                                             Tu senti, Ballatetta, che la morte
    Mi stringe si che vita m’abbandona,
    E senti come ’l cor si sbatte forte
    Per quel che ciascun spirito ragiona:
    Tant’è distrutta giá la mia persona
    Ch’io non posso soffrire.
    Se tu mi vuoi servire,
    Mena l’anima teco,
    (Molto di ciò ten preco)
    Quando uscirá del core.
         Deh, Ballatetta, alla tua amistate
    Quest’anima, che triema, raccomando;
    Menala teco nella tua pietate
    A quella bella donna, a cui ti mando:
    Deh, Ballatetta, dille sospirando
    Quando le sei presente;
    Questa vostra servente
    Vien per istar con vui,
    Partita da colui
    Che fu servo d’Amore.
         Tu, voce sbigottita e deboletta.
    Ch’esci piangendo dello cor dolente,
    Con l’anima, e con questa Ballatetta
    Va’ ragionando della strutta mente.
    Voi troverete una donna piacente
    Di sí dolce intelletto,
    Che vi sará diletto.
    Starle davanti ognora.
    Anima, e tu l’adora
    Sempre nel suo volere.